“RECOVERY FUND” DEL MEZZOGIORNO: DAL PASSATO AL PRESENTE. In questi giorni si sta parlando di “Stati generali dell’Economia”, di progetti lungimiranti da condividere con tutte le migliori risorse del Paese, di imprenditori, parti sociali, terzo settore e delle “menti brillanti del Paese” che dovrebbero identificare la strategia di come spendere questi quasi 200 miliardi di euro che l’Europa “offre” agli Stati Membri. In questo progetto per il futuro del Paese, ancora una volta ho sentito, in verità, parlare poco di come si vorrebbero usare queste risorse per il Sud e come finalmente si vorrebbe dare quella spinta in termini di infrastrutture, di sanità, di turismo alle Regione Meridionali. Che bella parola «Mezzogiorno», come suona bene, è così solare ed invitante, evoca scampanii e luce, prelevata dalla vecchia meridiana o dalla rosa dei venti, ci ricorda il sole a picco e ombre cortissime. Sono certo che gli investimenti che saranno forse utilizzati per il Mezzogiorno non ci faranno tornare ai fasti che il Sud Italia aveva nel 1860, quando indubbiamente questo era un territorio tra i più industrializzati in Europa, dove le Regioni come l’attuale Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia si collocavano ai primi posti d’Europa per i livelli di industrializzazione. Infatti tutti ricordiamo le famose acciaierie di Mongiana in Calabria, con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson per il ferro e sei raffinerie, che occupavano ben 2.500 operai e dove l’industria decentrata della seta occupava oltre 3000 persone. Oppure la più grande fabbrica metalmeccanica del Regno delle Due Sicilie, Pietrarsa in Campania, con oltre 1000 addetti, stabilimento napoletano che produceva macchine a vapore, locomotive, motori navali, precedendo di 44 anni la Breda e la Fiat, un record per l’Italia di allora e con l’Ansaldo di Genova, ampiamente al secondo posto, la quale impiegava appena 400 operai del settore. Oppure ancora a Castellammare di Stabia dove dalla fine del XVIII secolo erano operativi i cantieri navali più importanti e tecnologicamente avanzati d’Italia, dove, tra l’altro, fu allestita la prima nave a vapore, il Real Ferdinando. Senza parlare ancora della Puglia, tecnologicamente avanzata nel settore della produzione di olio con impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione, o in Abruzzo, importante per le cartiere e per la fabbricazione delle lame e delle industrie tessili. Come non ricordare la Sicilia che esportava zolfo, preziosissimo allora, con una industria chimica che produceva tutti i componenti ed i materiali sintetici conosciuti all’epoca, acidi, vernici, vetro e con il fiore all’occhiello della Provincia di Caltanissetta, una delle città più ricche ed industrializzate d’Italia; Sicilia dai cui porti partivano navi per tutto il mondo, soprattutto per gli Stati Uniti d’America. Sappiamo com’è andata a finire la storia del nostro Mezzogiorno che, una volta occupato, ha “ricevuto” uno smantellamento cinico e sistematico del tessuto industriale di quelle che erano diventate le “provincie meridionali”, con licenziamenti in massa degli operai, condannando tutte queste eccellenze ad un inesorabile declino. La storia ci insegna tanto e per questo motivo lasciatemi il beneficio del dubbio su queste operazioni di rilancio economico e sociale del Meridione, perché nella storia unitaria, troppi, purtroppo, tra coloro che si sono prodigati ad occuparsi della «questione meridionale, hanno praticato la consumata arte del profitto per cause e interessi personali, speculando sul Sud o strumentalizzandolo per scopi che, con la nostra sbandierata arretratezza, c’entravano poco, proclamandosi inoltre amici di questa parte d’Italia, ma a conti fatti sono risultati solo i più acerrimi nemici del nostro popolo. Scusateci, ma così, anche di fondi come questi non abbiamo più bisogno!
Luca Monsurrò
Nella foto uno scorcio di Mongiana in Calabria, attuale Museo delle Reali Ferriere