Trent’anni fa moriva Eduardo De Filippo, o meglio “Eduardo“. Drammaturgo, attore, poeta: gli appellativi sono tanti e talvolta inutili, anzi, limitativi. Trent’anni fa moriva un’idea, di teatro e di vita. Trent’anni fa si è consumato l’ultimo atto di una commedia che ha coinvolto milioni di persone, migliaia di scenografie e miliardi di costumi. Una commedia che non ha avuto “limitazioni” teatrali, ma che si è svolta a cielo aperto: prima a Napoli e poi nel mondo!
Perché Eduardo ha portato avanti un’idea di teatro d’avanguardia, che va oltre le frasi celebri: ‘o presepio, ‘a nuttata, e via dicendo. Le sue opere sono la riproduzione reale di scene provate mille e mille volte nella vita quotidiana, e che si ripeteranno negli anni a seguire milioni di altre volte. Perché non c’è nulla di più reale del sacrificio umano, dell’arrangiarsi, della disperazione e dell’inganno. Nulla è più reale del profano che ogni giorno viene consumato e della massima sacralità, necessaria e prevista. Una realtà più che attuale, come le tante lotte da lui affrontate, per l’arte e per lo spettacolo, ma anche e soprattutto per il popolo, o meglio, per ciò che è popolare.
Trent’anni fa ci lasciava il drammaturgo: dandoci in eredità storie reali e storie surreali. Storie figlie di Napoli, che ogni napoletano e italiano dovrebbe almeno una volta vedere, sentire, ascoltare. al di là delle battute, delle frasi ad effetto e delle smorfie. Si riuscirebbe forse a comprendere molto meglio la vita reale: il teatro.
Gianluca Corradini
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