Un manuale di storia datato, ci parla molto di più dell’epoca in cui è stato scritto piuttosto che dell’epoca che ci sta raccontando. E di libri datati ce ne sono molti, non solo, troppi ancora ne continuano a uscire su una fase importantissima della storia nazionale ovvero il Risorgimento.
Mi limiterò per ora ad analizzare due manuali di storia patria per la terza elementare datati al 1905 e al 1913, presi come casi di studio da un mucchio molto più vasto di manuali coevi che dicono e ripetono più o meno le stesse cose. Ciò che colpisce immediatamente di questi manuali datati sul risorgimento, è il silenzio. Il silenzio su tutto ciò che di buono c’era prima della costruzione dello stato liberale. Contemporaneamente assistiamo alla narrazione degli eventi da un punto di vista sfacciatamente parziale volto a celebrare, nella maggior parte dei casi, i Savoia. Questi primi manuali, prima di entrare sul mercato ed essere diffusi sul territorio, erano attentamente esaminati dal ministro dell’istruzione pubblica e dai suoi organismi e dovevano risultare conformi in ogni virgola alle circolari ministeriali. L’obiettivo di questi manuali, scritti a ridosso degli eventi, era quello di creare una storiografia sulle vicende di storia patria il più possibile conforme alla situazione che si era creata, così da mantenere l’ordine sociale e rafforzare l’attaccamento dei sudditi al nuovo stato. Nell’introduzione del manuale del 1913, “Sempre avanti Savoia!, nozioni di storia d’Italia per la terza classe elementare”, il cui titolo è tutto un dire, viene apertamente dichiarato il fine della metodologia narrativa utilizzata dal libro e che, a sua volta, doveva essere fatta propria dall’insegnate ovvero “far conoscere all’alunno tutti gli episodi e gli aneddoti salienti e caratteristici, per sottolineare l’abnegazione, il sacrificio, il martirio di ogni fautore dell’unità d’Italia e della patria diletta, per colpire l’immaginazione dell’alunno e far rimanere indelebile in lui la memoria del fatto”. Questo libro di testo, così come quello di Della Pura, risalente al 1906 Fatti e uomini del Risorgimento nazionale dal 1846 ai nostri giorni in conformità dei programmi e delle istruzioni ministeriali del 19 gennaio 1905, è ricco di episodi pittoreschi, tra il sacro e il mitologico, alcuni anche divertenti, tutti volti alla mitizzazione o santificazione dei principali protagonisti del risorgimento e alla denigrazione dell’Austria e del Regno delle Due Sicilie, delle loro case regnanti e dei loro abitanti. Nel manuale di Della Pura, nel punto in cui si parla della prima guerra d’indipendenza, troviamo la descrizione minuziosa di crudeli atti di violenza perpetuati dall’Esercito austriaco sulla popolazione indifesa: anziani, donne e bambini. Troviamo pagine poco carine anche nei confronti dei croati, abitanti di una regione dell’Austria e descritti come rozzi, crudeli, violenti, zotici, rigidi, goffi e zucconi. Sono peraltro raccontati degli aneddoti contro i croati per dimostrare la loro stupidità e la stupidità degli austriaci. Anche nella pagina del manuale del 1913, l’Austria è descritta come un regime prepotente e dispotico, al punto da essere soprannominato il governo del bastone. Al grido di “fuori lo straniero”, lo stesso slogan propagandistico utilizzato per chiamare i soldati alle armi nella prima guerra mondiale, gli italiani correvano alla battaglia per combattere la guerra santa contro l’Austria. Parallelamente abbiamo l’esaltazione dei Savoia.
Svariati e mielosi sono i panegirici per sovrani piemontesi a cominciare da Carlo Alberto, padre dello Statuto Albertino e il più italiano degli italiani, per poi arrivare a Vittorio Emanuele II, il re Galantuomo, descritto come un coraggioso generale che andava fiero delle sue ferite e che non aveva paura di nulla. Assistiamo, quindi, alla santificazione dei personaggi principali del risorgimento come Mazzini di cui abbiamo un ritratto più leggendario che storico che lo ritrae quando, ancora bambino, faceva già la carità ai perseguitati politici o di Garibaldi, l’azione del pensiero di Mazzini, la spada della sua mente. All’età di solo otto anni, l’eroe dei due mondi iniziò la sua carriera salvando una lavandaia che stava morendo annegata in un fosso, tirandola fuori con le sue sole forze, mentre a sedici anni salvò dal naufragio una barca che stava affondando. Garibaldi combatté sempre più di quaranta battaglie, non fuggì mai e vinse quasi sempre questo è il messaggio dei due manuali. Peccato, però, che non si dice che l’eroe non salvava i mondi né liberava i popoli oppressi a titolo gratuito, ma che in realtà riceveva lauti compensi in denaro, né si può dire che nell’altro mondo, ovvero in Uruguay, la sua condotta si addicesse perfettamente a quella di un eroe, avendo dovuto pagare con il taglio di un orecchio il furto di cavalli. C’è anche, sul manuale di Della Pura, la romantica storia di Anita, moglie di Garibaldi, in realtà concubina dato che era già sposata, sempre affianco a lui in ogni battaglia e, naturalmente, non può mancare la descrizione della sua morte, tra le braccia dell’eroe che, nonostante le durezze e la brutalità della guerra, non riuscì a trattenere una lacrima per la sua donna che moriva durante la fuga. In realtà, quello che accadde tra le paludi con gli austriaci alle calcagna non è chiaro. Si sa per certo che mal sepolto, era stato trovato nelle paludi di Ravenna il cadavere di una donna in avanzato stato di gravidanza, dalla pelle olivastra, morta per strangolamento. Fosse quello il corpo di Anita?
E Carlo Pisacane, insieme a trecento giovani e forti, morì per la patria. Occhi azzurri, capelli biondi. Un eroe in piena regola. Anche se in realtà gli occhi azzurri non li aveva. E non era nemmeno biondo. Per la verità, forse, non era nemmeno un eroe dato che si macchiò di alto tradimento verso il suo sovrano di cui era paggio e visto che cercò di fomentare una rivoluzione nelle Due Sicilie, una rivoluzione che fallì al punto da essere ucciso dalla folla insieme ad alcuni dei trecento giovani e forti, mentre le truppe borboniche si preoccuparono di riprendere i carcerati comuni che l’eroe aveva liberato dalle patrie galere dell’isola di Ponza, sbagliando obiettivo dato che, in realtà, avrebbe dovuto liberare i carcerati politici della vicina isola di Santo Stefano.
Ora i manuali di storia certo non contengono più simili esaltazioni. Se dall’analisi dei libri di storia è possibile capire bene l’epoca che li ha prodotti, sarei curiosa di sapere cosa diranno i posteri della nostra epoca, della nostra società e della nostra Italia. E’ passato, infatti, più di un secolo e mezzo eppure sui nostri libri di storia, seppure non ci siano queste storie di santificazione, continua ad esserci il silenzio. Il silenzio su ciò che di buono c’era prima. Il silenzio sulle pagine più oscure della storia risorgimentale. Eppure non ci sono più le circolari ministeriali che danno istruzioni su cosa scrivere, nessun regime che c’imponga cosa dire e cosa no. Non solo c’è silenzio, addirittura si nega l’innegabile. I Savoia sono caduti. Siamo in repubblica e in democrazia. La domanda è: perché?
Francesca Romano
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