Fibes, Petrella, Soprano, Nerli. Tra procure e boatos, la questione morale torna in primo piano, proponendo all’opinione pubblica uno scenario opaco, spregiudicato, fortemente riprovevole. 
E naturalmente non sono pochi coloro che sperano siano i magistrati a dare una spallata alla classe dirigente regionale, tanto più che i partiti sembrano deboli e la politica sulle difensive. Ma la scorciatoia giustiziaria resta un abbaglio.
Dopo tutto, Mani Pulite fu un’eccezione dovuta a eccezionali congiunture nazionali e internazionali, mentre invece la stessa esperienza del centrosinistra campano dimostra che in genere la politica sa come «difendersi» dalla magistratura. Quando è innocente e quando non lo è. E non soltanto per la forza della casta, quanto piuttosto perché, rispetto ai propri clienti (imprenditori, manager, professionisti), essa è l’unica istanza pubblica che viene eletta dai cittadini. Dunque legittimata e responsabilizzata. La capacità di Bassolino di sopravvivere a devastanti emergenze e gravi sospetti giudiziari non si spiega con una sorta di magia personale, né con la corruzione dell’intera regione e neppure con l’aiuto di Berlusconi, altro politico accreditato di facoltà sovrumane. Semplicemente, il governatore continua a godere del consenso della maggioranza, come nel 2005 hanno detto le urne. E quel mandato popolare costituisce lo scudo che lo protegge dal centrodestra, dalle associazioni civiche e dalla stessa magistratura. Del resto, se non saranno probabilmente i magistrati a disarcionarlo, è anche vero che Bassolino sta già pagando i propri errori sul piano politico, come mostra il forte calo del centrosinistra alle elezioni del 2008.
In questo quadro, la nuova élite della quale oggi si parla è destinata a non incidere in alcun modo sull’opinione pubblica — sugli elettori — finché non scenderà sul terreno della politica. Evitando di chiudersi nella semplice testimonianza — del tutto comprensibile, intendiamoci — contro le inefficienze e la corruzione. E il terreno della politica non è soltanto il collegamento tra le molte associazioni civiche (come chiede Daniela Lepore), né la selezione di una leadership (sulla quale insiste Claudio Velardi), e neppure la proposta del sociologo Luciano Brancaccio di adottare a tal riguardo la procedura delle primarie. Coesione, leadership e primarie sono indispensabili ma non sufficienti.
Il punto è che la politica, per essere tale, non può che porsi in un’ottica maggioritaria. Fosse pure una lista civica, deve avere come obiettivo il governo della comunità e dunque il consenso della maggioranza. E già questo implica un salto di scala e una capacità programmatica e comunicativa ancora lontani dal realizzarsi. Ma non soltanto. Chi oggi lavora al superamento di un quadro politico ritenuto fallimentare, per ciò stesso si pone in una prospettiva di alternanza. E per realizzare un’alternanza serve cambiare il mazzo di carte, non limitarsi a mischiare quelle che da anni vengono distribuite al tavolo verde del Palazzo. Il che spiega i ricorrenti approcci bipartizan, ma chiama in causa anche l’eterno assente, ovvero il centrodestra.
di  Paolo Macry
da il Corriere del Mezzogiorno, 23-11-2008