Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 15 giugno ritorna a scrivere in prima pagina dei neoborbonici e di ipotetiche “leghe del Sud” in risposta alle tesi del presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis che, da imprenditore e appassionato di storia, ha parlato di “saccheggi napoletani dell’eroe dei due mondi”, liberandosi dei complessi di inferiorità e dei falsi miti che ci accompagnano da 150 anni e dimostrando, con orgoglio e capacità, che anche a Napoli si può essere vincenti (l’unica cosa che funziona a Napoli è il Napoli..). Cazzullo, allora, scrive alcune cose ripetute, nella sostanza, nelle dichiarazioni dell’editore Laterza. La “breve” ferrovia Napoli-Portici “giocattolo del re”, il famoso “sacco di semi e merluzzo” che Garibaldi avrebbe portato via per Caprera, l’oro delle banche meridionali che “sarebbe appartenuto al re -che non lo spendeva- e non al popolo”. Cazzullo e Laterza dimenticano ancora, però, che quella ferrovia trasportava tonnellate di merci, che solo in ottobre l’avevano percorsa 57.779 persone o che i successivi progetti ferroviari furono interrotti nel 1860 e che i Borbone, privilegiando le vie del mare, vantavano la prima flotta mercantile d’Italia (tra le prime in Europa, in testa, fra l’altro per traffici nel Mediterraneo e per esportazioni negli USA: cfr. fondo Ministero Finanze, Archivio di Stato di Napoli). Dimenticano che, al di là dei documentatissimi accordi con la camorra locale, furono i giornali e i deputati nazionali del tempo a definire la dittatura garibaldina a Napoli “detestabile e spettacolosa per la dilapidazione di oggetti e denaro”; con un “incredibile sperpero del denaro pubblico”, domandandosi che “fine avessero fatto somme ingenti, favolose, che scompaiono colla facilità e rapidità stessa colla quale furono agguantate dalle casse borboniche” e “senza darne conto” (formula utilizzata frequentemente da Garibaldi). “Il numerario del Banco di Napoli al 27 agosto 1860 era di ducati 19,316,295,11; al 28 gennaio del 1861 scendeva a ducati 7,900,115,11; al 2 aprile non si avevano più di 6,983,724,51” (cfr. gli interventi del vice-console sabaudo Astengo, del deputato Boggio, dell’“L’Unione” o la Nota del Segretariato Generale delle Finanze di Napoli, p. 16, Napoli, 1861). Sul merluzzo e sui legumi citati spesso dagli antichi sussidiari scolastici, possiamo rassicurare Cazzullo: Garibaldi già godeva della pensione “dei mille” e dello stipendio di generale d’armata: dopo il “dono nazionale” (un’altra pensione di centomila lire l’anno) egli poteva disporre di 277 lire al giorno (circa 1100 euro attuali)… In quanto a quegli altrettanto famosi 443 milioni di lire depositati sui banchi meridionali (668 quelli di tutti gli stati italiani messi insieme), si trattava, ovviamente, del denaro depositato dal primo all’ultimo dei cittadini del Regno (imprenditori, commercianti, impiegati, re, soldati, ufficiali) e che (un esempio su tutti a proposito di spesa pubblica) i dati relativi alle bonifiche negli ultimi dieci anni di governo borbonico furono superiori a quelli di tutto il Novecento con lo stato unitario. Se anche i dati appena ripubblicati dallo Svimez (ente non “neoborbonico”, ci pare), poi, dimostrano che il PIL e il livello di industrializzazione del Sud era pari o (in alcune aree) superiore a quello del Nord e che dal 1861 il divario è solo aumentato, premesso che gli stessi dati smentiscono una volta per tutte la “atavica inferiorità” meridionale e che nessun meteorite è stato avvistato negli ultimi 150 anni tra Gaeta e Palermo, la risposta potrebbe banalmente essere ritrovata in un sistema di governo nord-centrico con la complicità (interessata e colpevole) delle classi dirigenti locali (al potere dal 1860 ad oggi).
Spesso, infine, Cazzullo paventa la nascita di una lega meridionale contrapposta a quella del Nord, capeggiata addirittura da De Laurentiis (qualche giorno fa pensava, invece, a Pino Aprile) e giudicandola “pericolosa e dannosa per l’Italia” come se da 150 anni la secessione (e con una Lega Nord al governo) non fosse già un fatto acquisito e come se i meridionali non avessero gli stessi diritti dei settentrionali e neanche il diritto di “mugugnare” (con l’infelice espressione utilizzata spesso da Cazzullo stesso). Nessuna “lega del Sud” (stia tranquillo Cazzullo, almeno per ora) ma solo l’esigenza di ritrovare la verità storica e di liberarsi di una retorica che da 150 anni (un minimo di autocritica non farebbe male) e con i “vivalitalia” di ieri e di oggi, non è stata in grado di costruire alcuna identità nazionale. Con un obiettivo: formare classi dirigenti non più subalterne, consapevoli, fiere e in grado di rappresentare i “terroni” di domani. Guanto di sfida culturale finale: Cazzullo e Laterza ci ritengano a loro disposizione per eventuali visite presso l’Archivio o, dove, quando e all’ora che vogliono, per un dibattito su questi temi magari presso la sede del Corriere del Mezzogiorno e con il direttore a moderare…
Gennaro De Crescenzo
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