150 anni: festa in clima di regime, ma il dissenso cresce e si organizza. Erano cominciate con la promessa di celebrazioni senza retorica ed aperte a voci diverse (così l’allora ministro per i Beni Culturali Sandro Bondi ed il direttore generale della Rai Mauro Masi a “Porta a Porta”, il 5 maggio 2010), sono finite in un clima di regime che non è riuscito però a cancellare un dissenso ampio e sempre organizzato.
Il piano decisivo delle celebrazioni dei 150 anni dell’unificazione dell’Italia era quello della divulgazione, e dunque i mass-media hanno avuto il ruolo principale, sul piano della ricerca storica e degli studi nessun contributo di rilievo, infatti, è venuto dagli storici risorgimentali e dalla cultura ufficiale. Le librerie si sono riempite in questi mesi di saggi e biografie compilate quasi sempre da giornalisti. Con risultati deludenti. Si è fermato a qualche migliaio di copie vendute il “Viaggio nella storia d’Italia”, agiografia del Risorgimento del giornalista della Rai Antonio Caprarica, sul quale la Sperling & Kupfer aveva puntato, mentre ha raggiunto la sesta edizione il documentato e critico “1861” di Antonella Grippo e Giovanni Fasanella, nonostante la scarsa promozione, mentre è continuata la fioritura di saggi sugli aspetti dell’unificazione finora taciuti e nascosti.
I cosiddetti “luoghi della memoria”dell’unificazione sono stati trasformati in un elenco di opere pubbliche disparate, utili solo a distribuire al ceto politico ed alle lobbies affaristiche di riferimento i 18 miliardi di finanziamenti (cfr. “150 anni: tra sprechi e scandali l’Italia di sempre” in LN36/11) . Eccezioni, il restauro del monumento ad Anita Garibaldi ed i busti dei garibaldini sul colle del Gianicolo a Roma e, neanche a dirlo, la Reggia Sabauda della Venaria (Torino) trasformata ora in “reggia d’Italia” grazie a finanziamenti massicci (quasi 300 milioni di euro dal 1999 ad oggi) se mai ci fosse ancora qualche dubbio su chi ha guadagnato con l’unità d’Italia.
Nessuna autocritica, nessun dubbio da parte dei celebratori ufficiali, a partire dalla data del 17 marzo 2011, designata quale “festa dell’Unita”. Si è scelta la data della riunione di un Parlamento che era, di fatto, quello del Regno di Sardegna e che fu numerata come seduta del parlamento subalpino. Un parlamento nel quale l’ex Regno delle Due Sicilie appena conquistato non era rappresentato. Tutto in linea con la creazione di una Nazione ideologica e artificiale. “Con uomini stranieri in nome d’Italia si assassina un popolo italiano – scrisse lo storico Giacinto de’ Sivo – e il fatto mostra che la nazione napoletana non vuole perire…” (Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Napoli 1964, libro XXVIII, pag. 306). All’Italia reale, articolata in più nazionalità ed organizzata in più Stati, si sostituì la nuova Italia del Risorgimento progettata da un’infima minoranza nei circoli di iniziati. Non a caso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso al Parlamento per i 150 anni ha definito il 17 marzo 1861 la “conclusione del plurisecolare cammino dell’idea d’Italia” (cfr. Il Foglio, 18.3.2011).
Tra i successi del nuovo Stato unitario Napolitano ha indicato quello di aver “debellato il brigantaggio dell’Italia meridionale (….) col prezzo di una repressione talvolta feroce in risposta alla ferocia del brigantaggio”. A parte il “talvolta” il presidente della Repubblica ha trascurato il particolare che i cosiddetti briganti combattevano nella propria Patria e di fronte avevano un esercito invasore.
A ridosso del 17 marzo la propaganda è diventata martellante, e l’atmosfera da regime con il refrain dell’ Inno di Mameli diffuso a ripetizione dagli altoparlanti nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti, le scolaresche festanti e sventolanti in tv, i dibattiti a senso unico. Il ceto politico, dal Pdl all’estrema sinistra, con l’eccezione della Lega Nord, si è avvolto nel tricolore. Per molti la scoperta del patriottismo è stata un’occasione di attacco alla Lega, contraria ai festeggiamenti, per colpire il Governo. Il comico Roberto Benigni, nato nei circuiti delle “Feste dell’Unità” (nel senso del giornale che fu del Pci), dove si inneggiava al Patto di Varsavia, si è presentato al festival di Sanremo per una lezione di storia risorgimentale a fumetti, confondendo date e fatti. La Rai ha cancellato ogni voce diversa. Un invito alla trasmissione “Porta a Porta” rivolto al presidente del Movimento Neoborbonico, Gennaro De Crescenzo, è stato annullato e il 19 marzo “Rai Storia” ha interrotto la trasmissione del documentario “I Lager dei Savoia” con un’intervista allo stesso prof. De Crescenzo. La redazione di “Rai Storia”ha risposto alle numerose e-mail di protesta negando censure, e parlando eufemisticamente di “non perfetta messa in onda” ma ha informato che “dal 17 al 20 marzo, in occasione dei festeggiamenti per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia, l’intera programmazione è stata curata, occasionalmente, dalla struttura Rai-150 anni”. Ma è molto strano che nella maratona tv dedicata ai 150 anni e durata più di 90 ore (dalle 23.50 del 16 marzo alle 20 del 20 marzo) la “non perfetta messa in onda” si avvenuta proprio durante la trasmissione del documentario sui campi di concentramento per i soldati borbonici.
Conformismo di regime anche nelle altre reti televisive, da Sky a La7. Il 17 marzo a “Mattino 5”, su Mediaset, il conduttore Paolo Del Debbio ha tolto la parola al giornalista Piero Sansonetti, che aveva detto di non vedere alcuna ragione perché il Sud facesse festa. La principale agenzia di stampa italiana ha cancellato dal proprio notiziario nazionale la protesta di Benevento, dove le targhe delle strade intitolate a personaggi risorgimentali sono state coperte nottetempo con i nomi dei briganti Carmine Crocco e Michelina De Cesare.
I “battaglioni della grande stampa”, come li definiva Jacques Ploncard d’Assac, si schierati a protezione di una festa inventata dal nulla. Eppure, ed anzi proprio per reazione alla pressione propagandistica, il Paese reale ha fatto emergere insofferenza e dissenso. Molte le iniziative. A Napoli il 15 marzo una commossa preghiera è stata recitata nella Chiesa di San Ferdinando per le vittime della repressione piemontese. Il giorno dopo, in piazza dei Martiri, oltre 200 giovani hanno manifestato contro la “mala unità” sventolando bandiere del Regno delle Due Sicilie. Nella centralissima Via Toledo il noto negozio di abbigliamento “Arbiter” ha allestito una vetrina con i ritratti dei Sovrani Francesco II e Maria Sofia, la bandiera delle Due Sicilie, il proclama da Gaeta dell’ultimo Re napoletano ed il pamphlet di Guido Vignelli e Alessandro Romano “Perchè non festeggiamo l’unità d’Italia” edito dal Giglio. Nel quartiere Vomero una gioielleria ha esposto gli stemmi borbonici e la bandiera delle Due Sicilie. (LN38/11)
 
 
150 ANNI: “IL MATTINO”, LA STORIA SECONDO CILENTO / PROTESTA CON UNA E-MAIL
 
Da mesi il quotidiano di Napoli “Il Mattino” pubblica la domenica un articolo a sfondo storico di Antonella Cilento, insegnante ed autrice di romanzi. Il sottotitolo dell’articolo e”’la storia”, ma bisognerebbe aggiungere, la storia secondo la Cilento.
 Dopo aver rievocato nei mesi scorsi una serie di “eroine” schierate contro i Borbone, la Chiesa e la propria Tradizione, la Cilento, femminista e favorevole alla pillola Ru 486, come informa il suo profilo su Facebook, ha pensato di contribuire alle celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione censendo le lapidi che ricordano il passaggio a Napoli di Garibaldi, da lei indicato come “l’eroe dei due Mondi”, e verso il quale mostra una autentica venerazione (“ebbe volontà più forte della corruttela altrui e più ostinazione che armi”. Cfr. Il Mattino, 20.3.2011). “La città – scrive la Cilento – non appare molto grata a chi le tolse per sempre i Borbone, che ora alcuni vorrebbero far passare per benemeriti ed illuminati liberali, anzi, in questi giorni, mentre i balconi qua e là fioriscono di bandiere tricolori (pochi, in verità, a Napoli, ndr) qualche ridicolo nostalgico affigge in risposta lo stemma monarchico che si bruciava nella Napoli abbandonata da Franceschiello”. Tralasciando il dato che chi difende i Borbone lo fa proprio in polemica con il liberalismo, che è alla base del Risorgimento, e tralasciando lo “stemma monarchico”(probabilmente la Cilento voleva dire dinastico), colpisce il livore anti-borbonico.
La sua è una ostilità così impregnata di pregiudizio ideologico da travalicare i fatti reali per sconfinare nell’affabulazione. La collaboratrice de “Il Mattino” ci narra infatti che una delle lapidi “è affissa sulle magnifiche mura di Palazzo Doria D’Angri, dal cui balcone Garibaldi annunciò, il 7 settembre 1860, che Napoli a seguito del voto referendario era parte della nuova Italia unita”. Ma il plebiscito sull’annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte si svolse il 21 ottobre 1860….
L’articolo si chiude con l’apologia di Enrichetta Caracciolo, affiliata alla massoneria, propagandista liberale nel Convento dove vestiva l’abito, custode di armi per conto di cospiratori liberali che, incontrando Garibaldi nel Duomo di Napoli, “deponeva il velo e si smonacava”. “Iniziava, con tutte le sue contraddizioni, – conclude la Cilento – la storia moderna anche qui, dove la si era tanto a lungo rimandata”.
Sarà per recuperare il ritardo che la Cilento cambia le date ed inventa i fatti ? (LN38/2011)
 
 
 
 
SUD: DIALETTO PIEMONTESE DIFESO DAI POLITICI, NAPOLETANO ABBANDONATO
 
La valorizzazione del dialetto piemontese, qualificato come “lingua storica”e, pertanto meritevole di tutela, vede uniti deputati del Nord di maggioranza ed opposizione. Una proposta di legge che affianca il piemontese all’albanese, il catalano, il greco, il ladino, lo sloveno,il croato, l’occitano, ed altre lingue parlate da minoranze residenti in Italia è stata presentata alla Camera il 1 giugno 2010 dai deputati Gianni Vernetti (Api), Osvaldo Napoli, Enrico Costa e Gianni Mancuso (Pdl), Marco Calgaro (Udc), Luigi Bobba e Giorgio Merlo (Pd). Una lobby trasversale “sabauda” (cfr. Il Giornale, 29.3.2011) che si appoggia alla legge n. 26 approvata già nel 1990 dalla Regione Piemonte sulla “tutela e promozione delle conoscenza dell’originario patrimonio linguistico del Piemonte”. Nella relazione che accompagna la proposta di legge i deputati affermano che “il piemontese costituisce una koinè, una comune lingua regionale” e qualificano come “dialetto municipale”il napoletano, affiancandolo al bolognese. A parte l’ignoranza sul napoletano, lingua che vanta una letteratura imponente ed è parlato da milioni di persone ben al di là dell’ambito della città di Napoli, colpisce come su temi culturali legati agli interessi di comunità di provenienza (l’on. Mancuso è bergamasco) i politici del Nord siano capaci di unirsi, ben diversamente da quelli del Sud, peraltro interessati alla cultura meridionale esclusivamente in termini di gestione.
A Napoli ed in Campania pochissimo si è fatto finora per la lingua napoletana, niente si è fatto per la musica, e le varie produzioni artigianali di pregio come i pastori, noti in tutto il mondo. In vista delle elezioni comunali di maggio e con la scadenza del Forum Internazionale delle culture, che si terrà a Napoli nel 2013, la valorizzazione della cultura napoletana in tutte le sue dovrebbe essere nell’agenda di tutti i candidati, invece si parla d’altro. (LN38/11).
 
 
TRADIZIONE: DI FRONTE ALLA GLOBALIZZAZIONE, CONVEGNO DI VERBO
 
Si svolgerà sabato 9 aprile a Madrid la XLVIII Reunión de Amigos de la Ciudad Católica organizzata dalla rivista “Verbo”, dalla Fundación Speiro e dal Consiglio di studi ispanici “Filippo II”. L’appuntamento è all’Hotel NH Zurbano (Calle de Zurbano,79-81 ) alle 10.15.
Il tema di quest’anno è “La Tradizione cattolica ed il nuovo ordine globale”. Tra i relatori il prof. Miguel AyusoTorres, dell’Università de Comillas (Madrid), Bernard Dumont, direttore della rivista “Catholica” (Parigi), John Rao (Università Saint John, New York), Felipe Widow (Università Cattolica di Santiago del Cile), Danilo Castellano (Università di Udine).
Leggi il programma completo del convegno di “Verbo”
 
Lettera napoletana
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