“Nascosto, buio, profondo” sono le parole suggestive e significative con cui si apre il nuovo e monumentale libro del prof. Michele Rak, “Napoli civile” (Edizioni Argo, 519 pagine). E al centro del libro, ovviamente, quella Napoli “costellata di icone luminose e splendide”, le donne, i cibi, le acque, gli abiti, i cavalli, le carrozze, le divise, le arti, le feste e poi, ancora, i viaggiatori, le antichità, la musica, il teatro, la letteratura, le scienze… Un viaggio nel Seicento, “un momento importante della configurazione dell’identità di Napoli, la più popolata e ricca città italiana”, con tre tappe fondamentali (1631, 1647 e 1656), tra le terribili eruzioni del Vesuvio, le rivolte di Masaniello e la devastante epidemia di peste: un trentennio fondamentale durante il quale gruppi di opinione e scuole di pensiero discutono temi sociali, etici, religiosi e di diritto, scientifici e teologici. Ecco il “Popolo Civile e le sue Arti”: “un nuovo aggregato misto ed emergente fatto di burocrati, avvocati, medici, letterati tra amministrazione reale, gruppi baronali, comunità ecclesiastiche e la parte di popolo che si può identificare come Popolo Civile”, un gruppo sociale che favorisce anche la nascita di una letteratura in lingua napoletana e la stessa affermazione, in Europa, di un modello narrativo (il racconto fiabesco) che troverà in Basile il suo testimone più significativo.
Di lì anche il Modo Barocco che favorisce la trasformazione (tra arti e mestieri) di quel Popolo e della società napoletana. È un libro-scrigno quello che si apre davanti agli occhi del lettore, con quella “meraviglia” che è parola-chiave per capire il Seicento. Un caleidoscopio fatto di sorprese continue, tra citazioni e immagini, notizie e fonti e spunti per ulteriori ricerche.
Poche volte abbiamo registrato in un libro una sorta di armonia e di coincidenza tra quello che si racconta e come lo si racconta e questo è un esempio che potrebbe e dovrebbe diventare importante: siamo di fronte ad un saggio prezioso e documentato ma anche ad un racconto con lo stile barocco che è proprio al centro di quel racconto. Il tutto anche come una sorta di sintesi delle attività del prof. Rak, docente universitario (Napoli, Palermo, Siena), uno dei massimi esperti di letteratura barocca e napoletana, di Basile, della identità europea e artefice di numerosi progetti per la valorizzazione del territorio sempre nel segno (non diffusissimo a livello accademico) dell’amore per la cultura napoletana.
Di lì anche il Modo Barocco che favorisce la trasformazione (tra arti e mestieri) di quel Popolo e della società napoletana. È un libro-scrigno quello che si apre davanti agli occhi del lettore, con quella “meraviglia” che è parola-chiave per capire il Seicento. Un caleidoscopio fatto di sorprese continue, tra citazioni e immagini, notizie e fonti e spunti per ulteriori ricerche.
Poche volte abbiamo registrato in un libro una sorta di armonia e di coincidenza tra quello che si racconta e come lo si racconta e questo è un esempio che potrebbe e dovrebbe diventare importante: siamo di fronte ad un saggio prezioso e documentato ma anche ad un racconto con lo stile barocco che è proprio al centro di quel racconto. Il tutto anche come una sorta di sintesi delle attività del prof. Rak, docente universitario (Napoli, Palermo, Siena), uno dei massimi esperti di letteratura barocca e napoletana, di Basile, della identità europea e artefice di numerosi progetti per la valorizzazione del territorio sempre nel segno (non diffusissimo a livello accademico) dell’amore per la cultura napoletana.
E così si passa dalla letteratura di Masaniello (“lazzare, all’arme all’arme, serra serra”) al miracolo di San Gennaro che ferma la lava, dalla minestra maritata (poesia e alimentazione, “pegnato gentile, soave e ammoruso”) all’ironia antica e irriverente contro i classici e anche contro i miti o trasformando i miti ( “no da reggina ma da sbregognata”, Didone con Virgilio nella splendida versione napoletana di Francesco Bernaudo), dalla “Napole scontraffatto dapò la peste” del Valentino a quel “testo euro-mediterraneo”, invenzione della fiaba nel mondo che risponde al Cunto de li Cunti di don Giambattista Basile e della sua Cenerentola napoletana legata all’originario Palazzo Reale Napoletano, come da anni ricordiamo (ma non ricordano le istituzioni locali).
“Le sirene, mostri del piacere e del suono, bisogna farsi legare per resistere”: è qui la sintesi di uno dei miti fondanti della città di Partenope (la Napoli “gentile” e attrattiva) e della stessa letteratura mediterranea. Insomma: un brulicare vivace, vivacissimo e carico di lavoro, di colori, di paure e pianti, di gioie e divertimenti, di grida e voci e ti pare di sentirle nel libro e di vederle nei quadri di Micco Spadaro, come quello utilizzato in copertina con una grandiosa piazza Mercato vista dall’alto come se fosse inquadrata da un attuale drone.
Altro che “secolo buio”, allora, altro che “decadenza spagnola” o (addirittura) “secolo-origine della questione meridionale”, seguendo uno dei luoghi comuni più beceri e abusati nella storiografia ufficiale, accademica e scolastica. Il Seicento Napoletano è un tempo da rispettare e da studiare ma con l’approccio incantato e rigoroso che Rak utilizza in questo libro fin da un titolo che sembra rivendicare una intera civiltà da riferire a Napoli. E così quella Napoli “civile” seguita a quella “Napoli Gentile” al centro di un altro suo precedente e prezioso libro, non può non suscitare un velato orgoglio in chi, da decenni, è abituato (a proposito di luoghi comuni) al racconto superficiale, unilaterale e parziale di quella che troppo spesso viene definita come Napoli “incivile”.
Anche per questo il libro di Rak deve essere letto da chi vuole veramente conoscere Napoli, la Napoli del presente e anche quella del futuro perché restiamo ancora convinti del fatto che una nuova e fiera consapevolezza di ciò che siamo stati ieri possa essere preziosa per le nuove generazioni, quelle che avranno il compito di riportare questa terra e questa gente allo splendore che un tempo hanno conosciuto e che meritano di ritrovare.
Gennaro De Crescenzo
“Le sirene, mostri del piacere e del suono, bisogna farsi legare per resistere”: è qui la sintesi di uno dei miti fondanti della città di Partenope (la Napoli “gentile” e attrattiva) e della stessa letteratura mediterranea. Insomma: un brulicare vivace, vivacissimo e carico di lavoro, di colori, di paure e pianti, di gioie e divertimenti, di grida e voci e ti pare di sentirle nel libro e di vederle nei quadri di Micco Spadaro, come quello utilizzato in copertina con una grandiosa piazza Mercato vista dall’alto come se fosse inquadrata da un attuale drone.
Altro che “secolo buio”, allora, altro che “decadenza spagnola” o (addirittura) “secolo-origine della questione meridionale”, seguendo uno dei luoghi comuni più beceri e abusati nella storiografia ufficiale, accademica e scolastica. Il Seicento Napoletano è un tempo da rispettare e da studiare ma con l’approccio incantato e rigoroso che Rak utilizza in questo libro fin da un titolo che sembra rivendicare una intera civiltà da riferire a Napoli. E così quella Napoli “civile” seguita a quella “Napoli Gentile” al centro di un altro suo precedente e prezioso libro, non può non suscitare un velato orgoglio in chi, da decenni, è abituato (a proposito di luoghi comuni) al racconto superficiale, unilaterale e parziale di quella che troppo spesso viene definita come Napoli “incivile”.
Anche per questo il libro di Rak deve essere letto da chi vuole veramente conoscere Napoli, la Napoli del presente e anche quella del futuro perché restiamo ancora convinti del fatto che una nuova e fiera consapevolezza di ciò che siamo stati ieri possa essere preziosa per le nuove generazioni, quelle che avranno il compito di riportare questa terra e questa gente allo splendore che un tempo hanno conosciuto e che meritano di ritrovare.
Gennaro De Crescenzo