“Parla bene, non parlare napoletano!”
Quante volte, da ragazzine/i abbiamo sentito questa frase da persone adulte che ci richiamavano ad esprimerci in italiano e non in napoletano, magari suggerendoci qualche inglesismo al posto della nostra meravigliosa parlata napoletana?
Ebbene, se queste persone (genitori ed insegnanti prima di tutto) avessero approfondito (o iniziato) lo studio della lingua napoletana, probabilmente si sarebbero rese conto di quanto valore storico gode la lingua neoromanza partenopea.
Uno degli effetti fonetici più caratteristici del napoletano è detto PARAGOGE (dal greco PARAGOGHE, composto da “PARA” = vicino, e da AGOGHE = condurre, quindi “mettere accanto”, e dal tardo latino PARAGOGE-M) o detto anche EPITESI (dal greco EPITHESIS, composto da EPI = sopra e THESIS = porre, quindi mettere su). Ed infatti tale fenomeno consiste proprio nell’aggiungere un fonema (suono) alla fine di una parola.
Tracce di PARAGOGE le troviamo già nella grammatica del greco antico, ed in particolare nel “NI EFELCISTICO”, ovvero nel carattere greco “Nv” (NI, fonema di -n/-v) che veniva aggiunto quale suffisso, alla fine di alcune forme verbali, di aggettivi e di sostantivi (veniva utilizzato molto nella metrica per la composizione dei versi).
Fenomeno che nell’evoluzione linguistica ha contribuito anche alla costruzione strutturale (soprattutto nelle forme verbali) di elementi dal latino alle lingue neoromanze.

Nell’italiano moderno, tale fenomeno fonetico è pressoché assente se non il alcune forme (che comunque ritengo limitate ad alcuni territori e quindi dialettali) per indicare la negazione “NO” in “NONE” e l’affermazione “SI” in “SINE” (notate l’aggiunta del suffisso “-NE” alla fine).
In lingua napoletana invece, l’EPITESI trova applicazione non solo nel suono, ma anche nella grafia, ed è uno di quei fenomeni fonetici che “addolciscono” la lingua rendendola di facile applicazione poetica e musicale (insieme all’ASSIMILAZIONE ed agli altri fenomeni fonetici di cui parleremo in altri interventi).
Nello specifico, l’EPITESI trova applicazione soprattutto nelle parole terminanti per consonante (quindi straniere, tra cui anche nomi di luoghi, di persone, di oggetti) alle quali noi napoletani aggiungiamo alla fine, un suono che accompagna la parola stessa ad una delicata conclusione, con il raddoppio dell’ultima consonante e di una vocale ma senza che quest’ ultima sia pronunciata interamente, ma solo nel suono evanescente dello schwa di cui abbiamo già parlato nei precedenti interventi.

Qualche esempio:
‘O GGASSE (il gas), neutro;
‘O BBARRE/’O BARRE (il bar);
‘O TRAMME/O (il tram);
HAMSICCHE (Hamšík);
‘A VERMUTTA (il vermut);
LL’ALBUMME (l’album);
LIVERPULLE (Liverpool);
‘O COMPIUTERRE (il computer);
FEISBUCCHE (Facebook), ecc…
In conclusione: “parlate bene, parlate napoletano…che è una ricchezza!”
da ‘O QUATERNO ‘E NAPULITANO

di Davide Brandi