Cosa succede quando per decenni (ma anche in 160 anni) i politici del Sud, occupati nei ruoli istituzionali, sia in ambito nazionale che locale, trascurano il patrimonio culturale immateriale di un territorio e del popolo che lo vive?
Succede che quel patrimonio va a scomparire, che va dimenticata la storia, che la lingua muore o si trasforma (non in evoluzione ma in degrado lessicale, maltrattata in grafie approssimative e personalizzate da soggetto a soggetto) e si diventa “merce manipolabile”, utile secondo la necessità del momento.
Ed è proprio quello che sta avvenendo per la lingua napoletana, rilegata a sconcia e rozza parlesia camorristica dimenticando che è lingua neoromanza al pari dell’italiano e di tante altre lingue europee. La mancata tutela (con tanto di attività culturali/didattiche tenute in modo istituzionale e continuativo e di seri e popolari studi che dettino le linee guida, oltre quelli accademici rilegati solo agli strettissimi ambiti di pochi addetti ai lavori o di esami da “dare” in modo veloce per passare al successivo step) porgono il fianco all’inarrestabile sgretolare di un idioma che affonda le sue profondissime radici al greco ed al latino. Uno schiaffo all’immenso patrimonio immateriale formatosi in oltre 800 anni.
E si, perché quando parliamo di patrimonio immateriale pensiamo sopratutto alla storia di un territorio e del popolo che lo vive. Pensiamo alle tradizioni, agli usi, ai costumi. Pensiamo alla lingua ed a tutta quella vastità letteraria che spazia dalla poesia alle opere, dalle fiabe ai racconti, dai libretti per musica ai copioni teatrali, dalle canzoni agli autori.
Ecco, proprio gli autori. Un giovane politico (ma anche meno giovane) a cui viene affidato l’Assessorato alla Cultura di un qualsiasi Comune della Campania (o del Sud se volete), oltre ad avere una competenza gestionale/amministrativa ed una visione organizzativa generale, non può ignorare l’immensità letteraria in lingua napoletana. Non può ignorare (spesso ne ignorano persino l’esistenza) autori come G.B.Basile, Giulio Cesare Cortese, Sgruttendio, Pompeo Sarnelli (tanto per citare solo il ‘600, ma la lista tra ‘700 ed ‘800 diviene infinita), non può ignorare autori di “villanelle” come il Velardiniello e tutti gli altri. Così come non può ignorare l’infinità librettistica prodotta in una delle più grandi e fervide (anche dal punto di vista culturale) capitali europee tra il ‘700 e l’800. Tra opere (liriche, buffe e serie), drammi e melodrammi, scritte da autori napoletani (sia in lingua napoletana che in italiano). Pensiamo ad esempio a Salvadore Cammarano (che, tra le varie cose, scrisse l’opera Il Trovatore su musiche di Giuseppe Verdi), oppure ad Andrea Leone Trottola, Domenico Gilardoni che hanno scritto decine e decine di opere per Rossini, Bellini, Donizetti, Mercadante, ecc…
Non si può ignorare la letteratura settecentesca ne quella dell’800, perché pochi territori al mondo possono vantare una varietà culturale così importante che si lega fortemente all’identità del proprio popolo.
Né tantomeno si può ignorare la canzone tradizionale in lingua napoletana. Se pensiamo che il solo E.A.Mario, durante la sua esistenza scrisse (e spesso musicò) oltre 2000 canzoni, immaginiamo quanti testi (in lingua napoletana), dal ‘200 ad oggi e con le centinaia di autori, vanno a formare il patrimonio immateriale della regione. Tra queste ci sono veri e propri capolavori (e non parliamo delle solite ‘O Sole mio, ecc…) sconosciuti alle grandi masse ma apprezzatissimi all’estero. Ecco la nota dolente! Perché poi capita questo, che il nostro patrimonio viene “inglobato” e fatto di altre culture, di altri popoli (che creano il loro business), e non parliamo della già narrata fiaba di Cenerentola (Zezolla) napoletana (divenuta business mondiale per la Disney), ma di canzoni come ad esempio la napoletanissima ballata intitolata tiritomba, di anonimo del ‘700 che è conosciuta e cantata in tutto il mondo (in particolar modo in Germania ed in lingua tedesca).
Tutto ciò darebbe la possibilità di ricordare e celebrare, in ogni giorno dell’anno, più eventi (anche a livello didattico per tramandare il tutto alle nuove generazioni) legati alla ricorrenza di un nostro capolavoro o di un “nostro” autore o di una “nostra” storia laddove sappiamo bene che in quasi 3000 anni di presenza umana (senza contare i periodi preistorici) in questo territorio, ogni strada, ogni collina, ogni metro del litorale, ogni palazzo così come ogni pietra, hanno almeno una meravigliosa storia che vale la pena ricordare e raccontare.
Immaginiamo, oltre alla sua valorizzazione, quanto (ed ulteriore) sviluppo turistico potrebbe portare tutto ciò. Immaginiamo quanta occupazione giovanile (cominciando dal nostro interno a frenare l’emigrazione giovanile, il bene più prezioso per lo sviluppo) legata alla cultura, al turismo ed a tutto l’indotto legato a queste attività.
Il lavoro delle associazioni private (spesso prestato per puro spirito di volontariato e spesso snobbato e non sostenuto dalle stesse Istituzioni locali) ovviamente non basta e non può bastare davanti al rapido oblio storico e culturale come tanto “consigliato” proprio da autorevoli storici.
La memoria è un bene prezioso che rende libere le persone ed io credo che ogni politico, ogni Sindaco ed ogni Assessore alla Cultura d’ogni Comune del Sud, abbia una responsabilità gravosa e importante perché è affidato a loro la cura di un pezzo di paradiso… e non si può sbagliare.