Angelo Forgione – Era il 13 dicembre 1903 quando Italo Marchionni, un marchigiano residente a New York, ricevette il brevetto statunitense per l’invenzione del “cono” da gelato, che già vendeva dal 1896. Serviva il suo prodotto in bicchieri di vetro, ma finiva che i clienti americani non glieli restituivano. Occorreva qualcosa di usa e getta, anzi di usa e mangia, e lui la creò. E però il gelato, sciogliendosi, spugnava la cialda. Pazienza, per circa sessant’anni.
E così arriviamo al 1960, in pieno miracolo industriale italiano, anno in cui il gelataio napoletano Spica ebbe la geniale idea di “impermeabilizzare” la superficie interna del wafer rivestendola con uno strato di olio, zucchero e cioccolato. Fu la salvezza della croccantezza del cono di Marchionni, che Spica battezzò col nome di “Cornetto”, perché è noto quanto il simbolo apotropaico sia parte della tradizione partenopea.
Fu la Algida, fabbrica italiana del dopoguerra, ad acquistare ben presto il brevetto Spica. Poi, nel 1974, piombò il colosso industriale anglo-olandese Unilever ad acquisire il marchio italiano, assorbendo anche il “Cornetto” napoletano. Inizialmente si puntò sul “Cremino”, ma dopo due anni fu lanciato proprio il “Cornetto”, che divenne il prodotto di punta e dilagò nel mondo. Ed è sempre dal territorio napoletano di Caivano, dalla fabbrica di gelati più grande d’Europa e la seconda in assoluto, che parte la produzione italiana del “cuore di panna”, portandosi dietro il primato di gelato industriale più venduto nel globo e le sue origini partenopee.
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