Festa di San Giuseppe, e si interrompe la Quaresima con la Pasqua alle porte. Una ricorrenza molto sentita a Napoli fino al secondo conflitto mondiale. Portava la fiera degli uccelli e quella dei giocattoli (se ne regalavano come all’Epifania) che si teneva nei pressi di una chiesa del Cinquecento dedicata al Santo, ubicata nella zona della Carità, e poi in via Medina quando l’edificio religioso fu demolito col Risanamento. Erano dunque i genitori a fare regali ai figli piccoli quando la festività del 19 Marzo segnava il cambio di stagione per i napoletani, che abbandonavano la bombetta per mettersi la pagliarella e i pantaloni bianchi di flanella.
San Giuseppe è il protettore dei falegnami, ma anche dei friggitori napoletani. E infatti riempie la città di zeppole, dolci fritti famosi in tutt’Italia e conosciuti anche oltreoceano per via dei viaggi degli emigranti. Nacquero a forma di serpe avvitata su sè stessa, una serpula (dal latino serpens), da cui pare presero il nome. Si racconta che sarebbero state inventate da un cuoco dei Borbone cui sarebbe stato chiesto di preparare un dolce per la Quaresima privo di uova e di grassi animali, allora proibiti. Altri, invece, dicono che la maternità sia da attribuire alle monache dei decumani. Ad ogni modo, le vere zeppole erano di farina buttata nell’acqua bollente arricchita da un po’ di vino bianco, e poi fritte, passate nel miele e infine cosparse di confettini. Fu il pasticcere Pintauro a farcirle di crema, più o meno come le conosciamo oggi. Lui, come tutti gli zeppolari, allestiva dei banchetti davanti alla bottega di Via Toledo, friggeva e serviva direttamente in strada.
La prima ricetta la si legge nel ricettario napoletano del 1837 firmato da Ippolito Cavalcanti. Il filologo Emmanuele Rocco avrebbe voluto addirittura un monumento cittadino con la seguente epigrafe: Napoli inventò le zeppole, tutta Italia se ne leccò le dita. Doveva esserne ghiotto visto che le riteneva uno dei tanti privilegi che l’Italia aveva avuto in dono da Napoli.
Angelo Forgione