La scomparsa di Paco De Lucia lascia un enorme vuoto nel mondo della musica. Etichettarlo come chitarrista flamenco vorrebbe dire sminuire il suo genio. Spagnolo, classe 1947, è volato via il 26 febbraio colpito da un infarto su una spiaggia messicana. Ci piace ricordarlo con questo articolo di Diego Nuzzo.
Era de maggio. Del 1983. C’era stato un suo concerto a Napoli, al Teatrotenda. Io ci ero andato con il mio maestro che alla fine del concerto fu, con me che lo accompagnavo, invitato dal manager a cena con tutti i musicisti. Al Faro a Marechiaro. Io ero seduto dala parte opposta del lungo tavolone rispetto a lui. Che sedeva ieratico e senza tradire emozione alcuna come un vero torero: aveva 36 anni, io 17 ma a me sembrava già allora un monumento vivente. Alla fine della serata mentre tutti gli altri musicisti del gruppo facevano casino, corteggiavano le ragazze che erano riuscite ad intrufolarsi alla cena, il mio maestro mi disse: “Prendi quella chitarra”. “Io???” risposi. “Non fare domande. Ti ho detto prendi la chitarra e comincia a suonare qualcosa. Magari qualcosa di napoletano”. Io, tremebondo ma sereno chè nessuno mi avrebbe ascoltato visto il casino che c’era, accennai “Torna a Surriento” nella trascrizione del maestro Continisio. All’improvviso si fece silenzio. Ma io non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo dalla tastiera. E solo pochi secondi dopo capii che il silenzio non era dovuto alla mia musica ma alla sua. Che aveva preso la chitarra e aveva cominciato ad improvvisare flamenco sulle note che suonavo. Non avevo altra scelta: senza smettere improvvisai un medley di tutte le canzoni napoletane che conoscevo per chitarra solista senza mai fermarmi. E lui, senza fermarsi, continuò a svisare flamenco su “Fenesta vascia”, su “‘O surdato ‘nnammurato”, su “Era de maggio”. Dopo un tempo che a me sembrò infinito decisi di smettere per paura di annoiarlo. Conclusi il brano e lui posò la chitarra nelle mani di un suo collaboratore. Si alzò in piedi, mise una mano dietro la schiena e l’altra sulla fascia nera che portava in vita e si produsse in un inchino lunghissimo. Solo allora i commensali esplosero in un fragoroso applauso. Paco de Lucia aveva suonato con me. Sono passati trent’anni ma quell’inchino non l’ho ancora dimenticato.
da Corriere del Mezzogiorno 27/02/2014 p. 19.