Esultano ad una voce il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ed il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro. Le regate delle “World Series” della Coppa America di vela, svoltesi in aprile a Napoli, hanno raccolto “un milione e mezzo di persone in nove giorni” (Ansa, 22.4.2013). «In 30 anni non si è mai visto uno spettacolo così straordinario», assicura l’australiano Ian Murray, direttore di regata dell’America’s Cup, i cui organizzatori hanno incassato 4 milioni di euro da Regione Campania e Comune. Gli alberghi cittadini nei giorni di regata (16-21 aprile), ai quali vanno sommati altri quattro giorni di prove, si sarebbero riempiti all’85% secondo l’amministratore unico di Acn (America’s Cup Napoli), società interamente a capitale pubblico, Mario Hubler, che fu nominato da Bassolino direttore generale di “Bagnoli futura”, ed oggi è indagato per la fallimentare bonifica. Ma diverse associazioni di categoria contestano la cifra. In tv le immagini delle regate (in realtà prive di valore agonistico e senza ripercussioni sulla ben più importante America’s Cup, che si svolgerà a San Francisco dal 4 luglio al 21 settembre) hanno raccolto una punta di 776mila ascoltatori (Raidue, sabato 20 aprile) e meno di 200mila negli altri giorni, quanto una partita di calcio di serie B, e neanche importante. Le stesse cifre diffuse dagli organizzatori (“14mila pizze servite nel ‘Village’ della gara, 20mila caffè, 1500 persone in strada durante gli spettacoli serali, con punte di 8mila”) contraddicono da sole il dato inverosimile del milione e mezzo di presenze. “Abbiamo registrato, per i flussi turistici, un +2,8%”, ha affermato Caldoro (Ansa, 12.4.2013). Cifre modeste, che partono da dati ancora più modesti. Le regate, costate – come ha ricordato Confindustria Campania – «8 milioni e 200mila euro tra finanziamenti pubblici e cofinanziamenti UE» (Ansa, 10.4.2013) hanno avuto un impatto minimo sull’industria turistica, e lo “spettacolo straordinario” visto dai loro organizzatori americani è stato quello offerto dalla natura nel mare del Golfo, mentre la città amministrata da De Magistris continua ad offrire uno spettacolo desolante, se appena dal lungomare ci si sposta nel centro storico o nelle periferie. Ma se anche le regate avessero portato qualche decine di migliaia di turisti in più, la situazione di fondo non sarebbe cambiata. L’errore di una classe politica molto più appiattita culturalmente di quanto la lotta di potere non faccia apparire è quello di puntare alla logica del “grande evento”. Oggi le regate della (finta) America’s Cup, ieri, con Bassolino, il concerto di Elton John o le feste di fine d’anno in piazza, o gli allestimenti di discutibili artisti. Non è vero – come ha affermato Caldoro – che la Coppa America «è un evento che porta economia sul territorio» (Ansa, 12.4.2013). Il grande evento serve solo a chi lo gestisce per organizzare il proprio consenso attraverso la distribuzione di denaro pubblico, ma non ha ricadute significative sull’economia della città. E Napoli – è questo che De Magistris, Caldoro, ed una classe politica senza radici nella nostra cultura non comprendono – è un evento quotidiano con la sua storia. L’evento sono i suoi monumenti e le sue chiese, il centro antico dei Decumani greci, il barocco del Gesù Nuovo, i musei pieni di opere d’arte che non si riescono neanche ad esporre, i Palazzi Reali di una grandezza passata che neanche l’abbandono è riuscita a cancellare. L’industria turistica può avere un forte impulso, e l’economia della città avvantaggiarsene, ma partendo dal recupero e dalla valorizzazione di un patrimonio che la classe politica continua invece a trascurare. Che cosa si sarebbe potuto fare con gli 8milioni e passa euro delle inutili regate veliche? Ripulire ed illuminare monumenti e palazzi del centro antico, coperti di graffiti per il 70%, come ha mostrato una recente ricerca, e “danneggiati al 90%” (Corriere del Mezzogiorno, 14.3.2013), riaprire, almeno nei fine settimana, qualche decina di chiese chiuse al culto ed abbandonate, come quelle dell’Incoronata e di San Giorgio dei Genovesi, davanti alle quali passano centinaia di turisti, recuperare il Museo Filangieri, embrione di un vero Museo civico che manca alla città, restaurare i soffitti che cadono negli appartamenti di Palazzo Reale, i cui affreschi lasciarono con il naso all’insù il presidente americano Bill Clinton e gli altri Capi di Stato stranieri durante il G7 del 1994. È questo lo “spettacolo straordinario”. Solo i nostri politici non lo vedono. (LN63/2013).
STORIA: PASQUALE STANISLAO MANCINI IDEOLOGO DEL “RISORGIMENTO”
(Lettera Napoletana) Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888) è una figura non sufficientemente nota del “Risorgimento”, cioè della Rivoluzione italiana.
Nato a Castel Baronia (Avellino), giurista e docente universitario, cospiratore liberale rifugiato in Piemonte dopo la rivoluzione fallita del 1848 insieme ad un folto gruppo di liberali, che a Torino in odio ai Borbone facevano da consiglieri al governo piemontese nelle trame contro la propria Patria, Mancini rientrò a Napoli nel 1860, dopo l’invasione garibaldina. Di Garibaldi, con il quale aveva ottimi rapporti, Mancini fu anche avvocato assistendolo in una causa di annullamento matrimoniale. A Torino fu appositamente istituita per lui nel 1850 la cattedra di diritto pubblico esterno e internazionale privato e Mancini fu eletto al Parlamento subalpino. Dal 1860 in poi fu ininterrottamente deputato del Piemonte e poi del regno d’Italia, divenendo il capo del centro-sinistra in Parlamento. Fu ministro della Pubblica Istruzione, della Giustizia e degli Esteri nei governi unitari.
A Pasquale Stanislao Mancini ha dedicato un recente articolo Aldo Grieco, attento studioso della storia pre-unitaria, (“Pasquale Stanislao Mancini, ideologo della rivoluzione nazionale” disponibile come download nel Sito Internet dell’Editoriale Il Giglio).
A Napoli, durante la luogotenenza (1861), Mancini fu consigliere dei piemontesi per le “province napoletane”.
Aveva studiato nel seminario di Ariano Irpino (Avellino), ma era anticlericale. Erede della posizioni giurisdizionaliste di Pietro Giannone e degli illuministi di Napoli, che volevano asservire la Chiesa al potere dello Stato, ritenuto l’unico legittimo, Mancini fu nominato Segretario degli Affari ecclesiastici e si distinse nella repressione contro i Vescovi del Regno delle Due Sicilie. Di essi, 54 su 66 furono sostituiti con “Vicari capitolari”, sulla base di sue direttive. Ai Vescovi delle Due Sicilie furono applicate le leggi Siccardi, in vigore in Piemonte, sulla soppressione degli Ordini religiosi e la subordinazione allo Stato delle opere della Chiesa. Sostenitore della piemontesizzazione dello Stato, Mancini sostenne l’estensione dei codici del regno di Sardegna alle Due Sicilie.
Anti-tomista, ammiratore di Machiavelli – del quale elogiava l’espulsione della categoria della morale dalla politica – Pasquale Stanislao Mancini fu sopratutto il teorico di quel “Principio di Nazionalità” che si ricollega all’idea rivoluzionaria di nazione dei giacobini francesi e che fornì la base teorica alle invasioni di Napoleone, come a quelle piemontesi dei legittimi Stati pre-unitari. Alla concezione tradizionale della nazione come eredità culturale, e come prodotto dell’opera di generazioni di uomini nati su una stessa terra per un disegno provvidenziale, Mancini sostituisce la “Coscienza della Nazionalità”, cioè un’idea volontaristica della nazione, alla quale si sceglie di appartenere . Per Mancini la nazione non è – come la famiglia – uno dei quadri naturali, ai quali si appartiene per nascita (l’etimo latino Natio richiama la nascita), ma una costruzione ideologica nella quale ci si riconosce con un atto di volontà.
Nella sua Prolusione al corso di “diritto pubblico esterno e internazionale privato”, svolta all’Università di Torino il 22 gennaio 1851 sul tema “Del principio di nazionalità come fondamento del diritto delle genti”, Mancini definì in questi termini il “Principio di nazionalità”: “questo principio [di Nazionalità] in che mai consiste ? Esso è la coscienza della Nazionalità, il sentimento che ella acquista di se medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e di manifestarsi al di fuori”.
La matrice ideologica e settaria di questo concetto risulta dalla successiva affermazione di Mancini: “Nulla è più certo della esistenza di questo elemento spirituale animatore della Nazionalità; nulla è più occulto e misterioso della sua origine e delle leggi a cui obbedisce”. (LN64/13).
Leggi l’articolo di Aldo Grieco “Pasquale Stanislao Mancini, ideologo della rivoluzione nazionale.
TRADIZIONE: SUPPLICA AL PAPA PER LA MESSA TRIDENTINA / FIRMA
(Lettera Napoletana) Sono 2mila 789, ma continuano ad aumentare, le firme raccolte dal giovane avvocato brasiliano di origine italiana João Otavio Benevides Demasi, 28 anni, a sostegno di una Supplica rivolta al Papa affinché celebri in pubblico una Messa in rito romano antico, detto tridentino. Cominciata nella Cattedrale metropolitana di San Paolo, la petizione è proseguita on-line attraverso il sito specializzato www.change.org, che certifica il numero e l’autenticità delle firme raccolte, ed è stata sottoscritta da cattolici di 57 Paesi.
LETTERA NAPOLETANA ha rivolto alcune domande al promotore della petizione:
D. Come è nata l’idea della Supplica al Papa sostenuta da una petizione internazionale?
R. Nel novembre 2010 rivolsi al Canonico della Cattedrale di San Paolo, Don Walter Caldeira, la richiesta di far celebrare la Messa in rito romano antico. Ebbi una risposta negativa, nonostante l’esistenza del Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI, che raccomanda a Vescovi e Parroci di accogliere con benevolenza le richieste dei fedeli in questo senso. Così cominciai a raccogliere nella Cattedrale firme per una petizione al Cardinale Arcivescovo di San Paolo, Odilio Scherer. Un giorno, in presenza di oltre 2mila fedeli, il Canonico Caldeira salì sul pulpito ed avvertì che un giovane stava raccogliendo firme per la celebrazione della Messa tradizionale in Cattedrale, raccomandando loro di non firmare “perché il Cardinale è contrario”. Fui circondato dagli addetti alla sicurezza e costretto a sospendere la raccolta. Va tenuto presente che a San Paolo, città di 20 milioni di abitanti, si celebra quotidianamente una sola Messa tridentina se escludiamo quelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Successivamente ho avuto occasione di poter parlare brevemente con il Cardinale Scherer, ed ho saputo che il Canonico è stato richiamato. Ma riflettendo su quanto mi è accaduto ho pensato che se la Messa tradizionale fosse celebrata dal Papa, questo gesto avrebbe conseguenze notevoli in tutta la Chiesa.
D. Come pensa di far pervenire al Papa la Supplica?
R. Sono stato a Roma nella prima settimana di ottobre del 2012. Un mese prima a Salvador da Bahia, in Brasile, si era svolto il III Congresso Summorum Pontificum (cfr. Tradizione: sempre più Messe Tridentine in Brasile, LN56/12), con la partecipazione di 7 Vescovi, che hanno sottoscritto per proprio conto una richiesta al Santo Padre per la celebrazione di una Messa usus antiquior. A Roma sono stato aiutato dall’allora Prefetto della Casa Pontificia, Mons. Nicholas Thevénin, adesso Nunzio Apostolico in Guatemala, ma non sono riuscito ad essere ammesso al baciamano del Papa (che si svolge al termine delle udienze generali, n.d.r.). Il mio obbiettivo resta quello di consegnare personalmente a Papa Bergoglio la Supplica, e mi preparo a tornare a Roma nel mese di maggio a questo scopo.
D. Al di là della vicenda della Supplica, come viene applicato nello Stato di San Paolo il Motu Proprio Summorum Pontificum ?
R. Fino a sei mesi fa al Seminario dell’Arcidiocesi gli aspiranti seminaristi che volevano celebrare la Messa Tridentina venivano scartati. Servo la Messa nel monastero di São Bento, e qui ho incontrato diversi aspiranti seminaristi con ottime vocazioni che erano stati respinti.
D. Se la petizione che ha promosso sarà accolta quali ripercussioni immagina per i fedeli della Messa in rito romano antico?
R. Se il Santo Padre celebrasse anche una sola Messa usus antiquior, secondo il Messale del 1962, la Messa Tridentina uscirebbe definitivamente dalle Catacombe. È giunto il momento che la celebri, anche se certamente la situazione in questi ultimi anni è migliorata notevolmente. La Supplica è un segnale di risveglio della Chiesa. Grazie al Motu Proprio di Benedetto XVI, nella Chiesa è spuntato di nuovo il giorno, e molti fedeli si sono risvegliati. (LN63/13).
Firma la Supplica a Papa Bergoglio perché celebri la Messa Tridentina
AMBIENTE: IL “RISCALDAMENTO GLOBALE” ? NON C’È MAI STATO
(Lettera Napoletana) Contrordine, il “riscaldamento globale” della Terra è finito, smentendo le teorie apocalittiche della lobby ambientalista sull’“effetto serra”. Teorie contestate da tempo da numerosi scienziati e, soprattutto, contraddette dall’evidenza dei fatti (cfr. Ambiente: da Lovelock l’ultimo colpo al riscaldamento globale, in LN52/12). La novità è che perfino giornali radical-progressisti come “la Repubblica”, stanno arrivando a queste conclusioni. “Il mistero della Terra che non si surriscalda più” è il titolo di un articolo di Elena Dusi (“la Repubblica”, 10.4.2013). «Tra il 2000 e il 2010, 100 miliardi di tonnellate di anidride carbonica sono finite nell’atmosfera. Ma la “febbre” del pianeta è rimasta costante. La Terra resta più calda di 0,75 gradi rispetto a un secolo fa ma dal 1998 non ha registrato nessun aumento di temperatura, in barba a tutti i modelli climatici che prevedevano un riscaldamento continuo causato dall’effetto serra», scrive la Dusi. Naturalmente l’articolo – che costituisce uno choc per l’impostazione “ecologicamente corretta” dei lettori del quotidiano – pur prendendo atto dell’evidenza rilancia altri allarmi, come l’ipotesi secondo la quale il calore in eccesso sarebbe stato assorbito dagli oceani, che potrebbero rilasciarlo nei prossimi anni con effetti altrettanto catastrofici di quelli annunciati dai profeti di sciagure a proposito del “riscaldamento globale”, ma il passo in avanti rispetto alla vulgata ambientalista insegnata per anni anche ai bambini delle elementari è enorme.
Probabilmente l’articolo della Dusi è ispirato da un articolo del giornalista scientifico inglese Fred Pearce, collaboratore del settimanale “The Scientist” sul blog “Yale Environment 360”, dell’Università americana di Yale (“Probing the reasons behind the changing peace of warming”, 8.4.2013). «Tra gli scienziati si sta diffondendo la convinzione che il riscaldamento globale ha rallentato negli ultimi 10 anni. Mentre ancora si sta cercando il perché, molti studiosi ritengono che il fenomeno sia connesso all’assorbimento del calore da parte degli oceani», ha scritto Pearce.
La lobby ambientalista, legata agli enormi interessi della “green economy”, che presuppone una gigantesca riconversione industriale, avanzerà nuove teorie catastrofiste se, come sembra, sarà costretta ad abbandonare la teoria del “global warming” (riscaldamento globale)?
È molto probabile. Intanto si possono calcolare – come ha fatto il giornalista Maurizio Stefanini su Libero (11.4.2013) – i costi per le economie occidentali della teoria (sballata) del riscaldamento globale. «In questi dieci anni in cui la temperatura del Pianeta rimaneva costante – scrive Stefanini – opinionisti, organizzazioni e governi chiedevano di spendere per ottenere esattamente quello stesso risultato che si stava già verificando da solo».
Un calcolo esatto è difficile, ma si tratta di cifre enormi: per l’applicazione del protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005, che impegna i Paesi industrializzati firmatari a ridurre entro limiti precisi le emissioni di anidride carbonica ed altri gas inquinanti nell’aria bisognerebbe impegnare tra lo 0,2 ed il 2% del Pil (prodotto interno lordo) mondiale. L’ammontare di quest’ultimo varia, naturalmente, di anno in anno e nel 2011 è stato valutato in 69mila e 110 miliardi di dollari. Sulla base di questa cifra l’applicazione del protocollo di Kyoto costerebbe dal 2013 al 2030 – calcola Stefanini – il 3% del Pil mondiale.
Secondo lo studioso danese Bjorn Lomborg, docente alla Copenhagen Business School, ed autore nel 2001 del polemico saggio “L’Ambientalista scettico” (trad. it. Mondadori, 2003), nel quale già allora contestava le teorie catastrofiste degli ambientalisti, per l’applicazione del protocollo di Kyoto occorrerebbero, di qui al 2100, 274mila miliardi di dollari. Cifre stratosferiche, che fanno comprendere la portata degli interessi in gioco alla base delle campagne di disinformazione ambientalista.(LN63/13).
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