Doveva essere lo “Science Center” italiano, una replica de “La Villette” di Parigi e addirittura – come la definì Bassolino, nel pieno della mistificazione affabulatoria del “Rinascimento napoletano” – “una metafora del l’intero Mezzogiorno” (Ansa, 23.11.2001). Ma in realtà la Città della Scienza, bruciata in un incendio ritenuto doloso dagli investigatori la notte del 4 marzo scorso, di scientifico aveva pochissimo. Solo un percorso di divulgazione, scientista piuttosto che scientifico, basato sul darwinismo elevato a dogma, che serviva ad indottrinare le scolaresche. In vendita tra i gadgets c’era una t-shirt con la scritta “Grazie a Dio sono ateo”. Nel 2001 la struttura ospitò l’opera del discusso scultore emiliano Fabrizio Plessi “Movimenti catodici barocchi”, realizzata appositamente. Consisteva in una serie di confessionali del ‘600 sormontati dalla Croce, rovesciati ed appesi al soffitto dei capannoni. Qui la metafora c’era. Secondo interpreti dell’ “artista” si sarebbe trattato del necessario svuotamento dei confessionali delle tante parole ascoltate dai sacerdoti. In una brochure della Città della Scienza si spiegava che i confessionali rovesciati affrontavano “il tema del conflitto tra arte scienza e religiosità”. Il resto dell’attività della Città della Scienza si riduceva all’“incubatore di impresa” (uffici e consulenza per tecnologia e marketing a pagamento per le imprese nascenti) ed al Centro congressi, che ha ospitato tante manifestazioni di partito ed iniziative di enti pubblici.
La Città della Scienza era questo. E in Estate offriva, come si poteva leggere in una brochure distribuita ai visitatori, “notti intelligenti” da giugno ad agosto, «con 2 ristoranti, 4 bar, concerti jazz, e rock, cinema su grande schermo e diretta da Radio Kiss-Kiss». Il prof. Luigi Nicolais, assessore alla ricerca scientifica della giunta regionale campana guidata da Bassolino, invece giustificava così nel 2004 l’erogazione di un nuovo finanziamento di 1 milione e mezzo di euro: «si tratta di un provvedimento a sostegno delle attività di ricerca di alta formazione svolte dalla Fondazione (Idis, n.d.r)» (Ansa, 2.10.2004).
Il nucleo originario della Città della Scienza era stata la Fondazione Idis, creata dal prof. Vittorio Silvestrini, un docente di fisica della Federico II, nato a Bolzano nel 1935, militante del Pci. Nel 1985 Silvestrini fu eletto consigliere regionale della Campania nelle liste del partito comunista. La Fondazione Idis cominciò ad organizzare dal 1987 una mostra di “divulgazione scientifica e tecnologica” chiamata “Futuro Remoto”, massicciamente finanziata dagli enti locali. Tre anni dopo, in un articolo sul settimanale del Pci “Rinascita”, Silvestrini espose il progetto che lui stesso ha definito in una intervista “la premessa alla Città della Scienza” (cfr. la Repubblica-Napoli, 8.4.2007). Il progetto ottenne – è Silvestrini a dirlo – «un’approvazione rapidissima dal Cipe e nel ’94 i finanziamenti giunsero cospicui e rapidi». La Regione Campania (presieduta dal democristiano Giovanni Grasso) destinò 10 miliardi di lire di fondi UE alla futura Città della Scienza, che sorse a Bagnoli nei capannoni della ex Federconsorzi. Il Cipe (Comitato per la programmazione economica) presieduto dal ministro del Bilancio Luigi Spaventa, in quota Pds nel governo Ciampi, il 13 aprile 1994 erogò 35 miliardi di lire, che con il cofinanziamento dell’UE divennero 70. Altri 2 miliardi furono aggiunti ancora dalla Regione Campania, per un totale di 82 miliardi, quale finanziamento iniziale. Il 26 giugno 1996, dopo la stipula di un Accordo di programma tra Regione, Provincia e Comune di Napoli, il Cipe approvò il “Progetto Città della Scienza”, affidato alla Fondazione Idis, per un importo di 104 miliardi e 811 milioni di lire. Una cifra enorme. Qualcuno cominciò ad avanzare obiezioni. «La trasparenza – affermò il presidente dei Verdi Arcobaleno, Antonio D’Acunto – richiama la necessità di conoscere che cosa contiene quello che allo stato appare un semplice contenitore dall’affascinante nome: Città della Scienza» (Ansa, 29.6.1996). Con quella somma – calcolò l’associazione ambientalista – si sarebbero potuti retribuire per 3 anni 1000 dottori di ricerca per i quali non c’erano concorsi universitari.
In base alla Variante urbanistica per la zona Occidentale al nuovo Piano regolatore proposta dall’amministrazione comunale di Napoli, l’ubicazione della Città della Scienza era illegale. A Bagnoli ogni struttura edilizia, infatti, avrebbe dovuto essere demolita per ottenere il ripristino integrale della linea di costa. Per sbloccare la concessione edilizia un gruppo di intellettuali promosse un appello. Tra essi l’avvocato Gerardo Marotta, Rita Levi Montalcini, il docente di economia Augusto Graziani, senatore del Pds, il prof. Paolo Macry. Nell’ottobre 1997 la Procura di Napoli, guidata da Agostino Cordova aprì un’inchiesta sulla Fondazione Idis. I finanziamenti pubblici attribuiti alla Città della Scienza non ancora corrisposti furono sequestrati dai Carabinieri del Ros, su disposizione del Gip del Tribunale di Napoli Bruno Gazulli. A Silvestrini la Procura contestò i reati di truffa e malversazione ai danni dello Stato. In un comunicato stampa firmato di proprio pugno (18.9.1999) il Procuratore Cordova rese noto che «la reale situazione contabile della Città della Scienza registrava un indebitamento pari a circa 6 miliardi e 400 milioni di lire» mentre la Fondazione Idis aveva dichiarato, per ottenere i finanziamenti pubblici, un utile di circa 27 milioni, «inducendo in errore il Nucleo valutazione degli Investimenti Pubblici», che diede quindi parere favorevole all’erogazione da parte del Cipe dei 104 miliardi e 811 milioni di lire. Il bilancio certificato 1996 della Fondazione Idis riportava un indebitamente per 23 miliardi di lire, una cifra enorme rispetto ad un fatturato complessivo di 10 miliardi, ed a fronte di un patrimonio netto di 10 miliardi di lire. L’utile prodotto dalla Fondazione Idis – secondo il bilancio certificato dalla Price Waterhouse – era di appena 96 milioni (“Il Denaro”, 18.10.1997). Dal bilancio 1996 emergeva anche che la Fondazione Idis aveva erogato 750 milioni di lire in “consulenze legali e fiscali”, la voce di spesa più alta in assoluto. Silvestrini – che nel 1993 era stato arrestato e rinviato a giudizio nella sua qualità di componente di una Commissione di appalto della Usl 40, nell’ambito di un’inchiesta per abuso d’ufficio, falso e corruzione della Procura di Napoli – fu indagato anche per abuso di ufficio in relazione all’ubicazione della Città della Scienza sul litorale di Bagnoli.
Quanto denaro pubblico hanno ricevuto finora la Fondazione Idis e la cosiddetta Città della Scienza? È difficile calcolarlo con precisione. Ai contributi statali ed ai cofinanziamenti UE, vanno aggiunti infatti i contributi degli Enti locali, Regione Campania in testa, anche per singole iniziative. Ma si tratta di risorse enormi, delle quali nessuna istituzione culturale di Napoli e della Campania ha mai fruito. Solo nel 2009 la Regione Campania stanziò in bilancio 2 milioni di euro (cfr. Italia Oggi, 6.3.2013). La Città della Scienza ha goduto di ampi appoggi politici. I presidenti della Repubblica Scalfaro, Ciampi e Napolitano, sono stati prodighi di riconoscimenti. In occasione dei 10 anni dalla nascita della struttura, Napolitano conferì a Silvestrini ed alla Città della Scienza una medaglia commemorativa. Nel 2008 la Fondazione Idis aveva firmato un protocollo d’intesa con la Fondazione Mezzogiorno Europa, guidata dall’ex dirigente e deputato del Pci Andrea Geremicca, compagno ed amico personale di Napolitano e punto di riferimento della corrente “migliorista” del partito comunista. Ma nonostante i finanziamenti massici la situazione amministrativa continuava ad essere disastrosa. Così la Città della Scienza, scorporata dalla Fondazione Idis, durante la presidenza di Bassolino, è diventata società “in house”, cioè interamente controllata dalla Regione Campania. Da quest’ultima – secondo quanto affermato da Silvestrini – vanterebbe ancora crediti per 7 milioni di euro e mezzo (Italia Oggi, 6.3.13). La “Città della Scienza”, 160 dipendenti (ma sulla cifra non tutti concordano) non pagava gli stipendi da circa un anno ed era ad un passo dal fallimento. Ma prima che economicamente questo enorme carrozzone divoratore di denaro pubblico era fallito culturalmente, come ha scritto, fuori dal coro, Camillo Langone (Il Foglio, 7.3.2013). Di questo fingono di non accorgersi gli imbonitori che adesso puntano alla sua ricostruzione, magari ancora sul litorale di Bagnoli, in spregio ad ogni normativa urbanistica. Insieme all’Istituto per gli studi filosofici, dell’avvocato amministrativista Gerardo Marotta, alla neo-giacobina Fondazione Napoli Novantanove, dei coniugi Maurizio e Mirella Barracco, ed al Museo Madre, dell’ex giornalista de L’Unità Eduardo Cicelyn, che la Regione Campania a guida Bassolino finanziava con 8 milioni e mezzo di euro all’anno, la Città della Scienza ha drenato capitali pubblici enormi. Ha potuto farlo grazie alla complicità della classe politica locale e nazionale e di un ceto intellettuale di formazione crociana o marxista che a Napoli da decenni si autoidentifica con la cultura e se ne divide i finanziamenti pubblici.
Intanto i monumenti, le chiese, i musei che esprimono la cultura autentica di Napoli ed il suo grande passato cadono a pezzi. Come i soffitti delle sale di Palazzo Reale, come le sue finestre prive di vetri, come gli intonaci del Teatro San Carlo, come il Museo Civico Filangieri, chiuso dal 1994 anche se costava al Comune appena 400mila euro all’anno, quanto la Città della Scienza bruciava forse in un mese. Anche se Napoli, dove la grande musica classica è di casa almeno dal ‘600 e c’è un Conservatorio con 1500 studenti, è priva da quasi 20 anni di un’Orchestra e di un Teatro stabile degno di questo nome. Chi aveva interesse ad incendiare una Città della Scienza vicinissima alla bancarotta? Si può solo sperare che l’inchiesta della magistratura in corso, adesso fortemente orientata verso la “pista interna” (cfr. Il Mattino, 28.3.2013), individui sia i responsabili materiali che i mandanti. Quello che è certo è che ricostruirla e riaffidarla al personale opaco ed affarista che l’ha portata al disastro è una follia. (LN63/13).
STORIA: LA MORTE DI CAVOUR NEGLI “INTRIGHI D’ITALIA”
(Lettera Napoletana) Comincia con un giallo la storia dell’Italia unificata. Quello della morte del primo ministro Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), a soli 51 anni, avvenuta nel giro di pochi giorni e dopo cure non appropriate – secondo il parere di autorevoli medici dell’epoca – come pesanti salassi. Ma il sospetto, alimentato dalla mancata effettuazione dell’autopsia sul cadavere, è quello di un avvelenamento. Ad indagare sulla morte del “tessitore” dell’unificazione e su altre pagine oscure della storia italiana sono Antonella Grippo e Giovanni Fasanella in “Intrighi d’Italia” (Sperling & Kupfer, Milano 2012), un viaggio dietro le quinte della storia ufficiale. Docente di italiano e storia, saggista, Antonella Grippo è autrice di “Uno Dio e uno Re. Il brigantaggio come guerra nazionale e religiosa” (Editoriale Il Giglio, 2008) e, insieme a Giovanni Fasanella, di “1861” (Sperling & Kupfer, 2010), documentata ricerca sui retroscena inconfessabili del “Risorgimento” (cfr. LN33/2010).
Odiato da Vittorio Emanuele II, che impedì addirittura ai principi reali di partecipare ai suoi funerali, e dalla Corte sabauda, circondato da spie e tradito da un’amante, che vendette 25 sue lettere riservate e compromettenti, poi recuperate e distrutte nel 1894 dal suo ex segretario Costantino Nigra, il conte di Cavour morì nel pieno delle energie. Soffriva, molto probabilmente, di malaria, ma già all’epoca per curare questa infezione veniva usato il chinino. Per Cavour invece – come ha osservato il prof. Luigi Baima Bollone, docente di medicina legale all’Università di Torino – medici di fama prescrissero pesanti salassi, che verosimilmente aggiunsero “danno al danno”, e solo successivamente il chinino, a dosi peraltro insufficienti. Cavour lasciava l’Italia unificata, ma profondamente divisa dall’odio e della rivalità tra fazioni e sette che avevano guidato il “Risorgimento”. Significativa la testimonianza – riportata nel libro – dell’ambasciatore francese a Torino, Henry d’Ideville, che descrisse l’ultima seduta del parlamento dell’Italia unificata, a Palazzo Carignano, alla quale Cavour partecipò prima della morte. I deputati del Partito d’Azione, garibaldino, assalirono il banco del governo. Nell’aula, dopo l’intervento minaccioso di Garibaldi, scoppiò una rissa, durata mezz’ora. Cavour fu minacciato fisicamente. Il presidente del Consiglio, Urbano Rattazzi, non intervenne, limitandosi ad osservare. Cavour rimase molto provato dall’accaduto. L’opera settaria era compiuta, ma quello che sarebbe stato il futuro della nuova Italia cominciava a delinearsi. (LN62/2013).
COMUNISMO: CUBA, SI INCRINA IL MURO DI SILENZIO SU OSWALDO PAYÀ
(Lettera Napoletana) Otto senatori degli Stati Uniti hanno chiesto il 25 marzo scorso un’inchiesta indipendente sulla morte del dissidente cubano Oswaldo Payá, avvenuta in un incidente stradale fortemente sospetto il 22 luglio 2012 sulla strada Las Tunas- Bayamo, nella zona sud-orientale di Cuba (v. “Comunismo: Cuba, silenzio sulla morte annunciata di Oswaldo Payá”, LN 54/2012).
La richiesta è indirizzata alla Commissione inter-americana per i diritti umani ed è firmata da senatori repubblicani e democratici, tra i quali il repubblicano della Florida Marco Rubio ed il democratico dell’Illinois Mark Kirk. La richiesta è il risultato della coraggiosa campagna condotta dalla figlia del dissidente cubano, Rosa Maria Payá, che non ha smesso di chiedere giustizia nonostante intimidazioni e minacce subite dal regime comunista cubano, e segue le rivelazioni sulle circostanze in cui avvenne l’incidente d’auto del dirigente del movimento giovanile del Partito Popolare spagnolo Angel Carromero, che viaggiava insieme a Payá, in una intervista al “Washington Post” (5.3.2013). Il 13 marzo, Rosa Maria Payá aveva consegnato alla Commissione per i diritti umani dell’Onu, a Ginevra, una petizione firmata da 46 dirigenti politici e parlamentari, in favore di una Commissione d’inchiesta indipendente, ma il suo intervento era stato interrotto dal rappresentante del governo cubano, che l’aveva insultata, definendola una “mercenaria provocatrice”. «Oswaldo Payá era un uomo coraggioso che si batteva per la libertà dei suoi fratelli e delle sue sorelle cubane – scrivono i senatori Usa – la sua memoria ed i suoi familiari hanno diritto ad un’inchiesta onesta ed indipendente su quanto gli è accaduto. Chiediamo dunque alla Commissione di avviare un’inchiesta senza indugi». Alla richiesta dei senatori statunitensi si è unito il giornalista e diplomatico Hermann Tertsch, con un articolo sul quotidiano spagnolo ABC (12.3.2013). Il coraggio e l’ostinazione dei familiari di Payá stanno cominciando ad incrinare il muro di silenzio complice verso il regime cubano (LN62/13)
Leggi l’articolo di Abc
ABORTO: CINA, IL GENOCIDIO SILENZIOSO
(Lettera Napoletana) – Le cifre sono ufficiali, le ha comunicate il Ministero della Salute della Repubblica popolare cinese. Dal 1971 ad oggi – cioè dall’inizio della politica di controllo demografico imposta dal governo comunista – i medici cinesi hanno praticato 336 milioni di aborti di Stato, circa 7 milioni all’anno per 40 anni. Le restrizioni demografiche prevedono per ogni coppia cinese il diritto ad un unico figlio. 196 milioni di cinesi, uomini e donne, sono stati sterilizzati nello stesso periodo. A 403 milioni di donne è stata impianta una spirale intrauterina, mezzo abortivo perché impedisce l’annidamento dell’embrione nell’utero.
Si tratta di un genocidio che non conosce nessun paragone nell’era moderna e nell’antichità e per di più consumato nel silenzio quasi totale dei mezzi di comunicazione. Per chi viola la legge sul “figlio unico” le punizioni sono pesanti ed affidate alla discrezionalità delle autorità amministrative locali: multe che possono arrivare all’equivalente di 35mila euro, cifra enorme per i livelli di vita cinesi, licenziamento per il padre o la madre, con il risultato di aver moltiplicato gli infanticidi. Nel febbraio scorso nella provincia orientale di Zhejiang due genitori che avevano violato la legge sono stati affrontati da 11 agenti dell’“ufficio pianificazione”. Il padre ha cercato di mettere in salvo il figlio di 13 mesi fuggendo, ma il bambino è stato investito ed ucciso dall’auto con a bordo i funzionari (cfr. Corriere della Sera, 17.3.2013).
In diversi casi i genitori non registrano i figli, ma in questo modo li condannano ad una vita in clandestinità. L’alternativa è riuscire a corrompere qualche funzionario. Gli effetti sociali di 40 anni di controllo statale delle nascite cominciano a creare problemi anche al regime, proiettato verso uno sviluppo economico sul modello super-capitalista unito al controllo sociale e politico del totalitarismo comunista. I cinesi maschi sono 34 milioni più delle femmine e questo induce molte coppie che scoprono di essere in attesa di una bambina all’aborto selettivo. Ma se il regime deciderà di allentare il controllo dello Stato sulle famiglie in materia di concepimento (un progetto già in vigore in alcune zone rurali del Paese prevede la possibilità di un secondo figlio) sarà esclusivamente per motivi di necessità, per effetto del rallentamento del tasso di crescita economica della Cina. Nel 2012 è aumentato in modo preoccupante il “tasso di dipendenza” della società cinese, cioè il rapporto tra forza lavoro disponibile, anziani e minori. Ciò può portare ad una carenza di mano d’opera in un prossimo futuro. (LN63/2013)
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