Ha vinto la protesta alle elezioni nel Sud. Una protesta espressa anzitutto con il rifiuto del voto. Nelle consultazioni con “la partecipazione più bassa dal 1946” (Renato Mannheimer, Corriere della Sera, 26.2.2013), gli elettori del Sud hanno superato ampiamente al ribasso il dato nazionale (75,1%). In Sicilia astensionismo al 37,2% (Sicilia 1), in Campania al 35,3% (Campania 1), in Calabria al 39,9%, in Puglia al 30,1%. Nei grandi centri urbani è andata ancora peggio: a Reggio Calabria astensione al 40,3%, a Napoli al 39,9%, a Catania 38, 4%; a Palermo al 34,8%. Una parte della protesta si è diretta sulle liste dell’ex comico Beppe Grillo, percepito come lontano dall’establishment politico-finanziario. Un’altra parte – molto più consistente di quanto ogni analista avesse previsto – si è diretta verso il Pdl di Silvio Berlusconi. Al di là del giudizio sul politico e sull’uomo, nelle proposte del Pdl una frazione importante di elettori ha trovato le misure più nette contro l’oppressione fiscale, la persecuzione di Equitalia, che al Sud ha portato a decine di suicidi tra gli “evasori”, le vessazioni di uno Stato pronto a prendere con la forza, ma non a restituire. È stato così che il Pdl ha vinto contro ogni pronostico al senato in Campania, in Puglia, in Calabria, in Sicilia. Non per i meriti della propria classe politica locale, ma per aver presentato il programma meno tossico per il Paese reale (famiglie, imprese, associazionismo, Chiesa). Spazzata via (9,1% alla Camera dato nazionale, 6,50% in Campania) appena gli elettori hanno potuto giudicarla la lista di Mario Monti, il cui governo, privo di ogni legittimazione politica e sostenuto solo da finanza e tecnocrazia Ue, è stato imposto al Paese per 14 mesi dall’attuale Capo dello Stato che porta per intero la responsabilità della difficile fase che si è aperta adesso. Deludente è stato il risultato delle liste “meridionaliste” (“Grande Sud-Mpa”, che raccoglieva le formazioni di Gianfranco Miccichè , Raffaele Lombardo, Adriana Poli Bortone ed altri, ha raccolto alla Camera lo 0,43%). Fallimentare anche il risultato degli ex pm Antonio Ingroia ed Antonio Di Pietro, che pure hanno tentato, senza riuscirci, di accreditarsi come forza meridionalista solo perché attaccavano la Lega Nord. Le cifre uscite dalle urne non dimostrano solo che le attuali soglie di sbarramento del sistema elettorale rendono velleitario ogni tentativo di presentarsi alle elezioni anche per forze meridionaliste autentiche, ma testimoniano della mancanza di credibilità di leader improvvisati che nella bandiera agitata strumentalmente del Sud hanno visto un possibile mercato elettorale. Resta impraticabile – come testimonia anche il deludente esito del generoso sforzo di Cristiano Magdi Allam, con una lista che difendeva la famiglia naturale, il diritto alla vita e la libertà economica contro la tecnocrazia dell’Ue – la strada di modificare gli equilibri del Paese con la scorciatoia elettorale. Meglio proseguire la strada lenta, ma capace di dare risultati, della formazione di un humus culturale meridionalista partendo dalla difesa della memoria storica, dalla riproposizione di simboli e figure del Sud, dalla conoscenza del nostro passato. Con i politici, partendo dalle più praticabili elezioni amministrative ed escludendo i settari dei partiti ideologici ed i cacciatori di voti, le forze davvero meridionaliste, capaci di organizzarsi come gruppo di pressione, possono patteggiare la rappresentanza di singole battaglie nelle assemblee elettive: dalla toponomastica ai monumenti, dallo studio delle lingue meridionali, alla valorizzazione dei prodotti tipici, alla difesa delle imprese e delle banche che hanno radici e testa nel Sud. Viste da Sud, le elezioni non sono andate male. Il voto ha spazzato via leader improbabili, meridionalisti della 24° ora, opportunisti pronti a salire su qualunque carro li portasse verso il potere. Il voto ha fatto chiarezza. Il Sud è senza rappresentanza politica, ma adesso sa che i propri leader deve formarseli. (LN61/13)
SUD: QUELLO CHE NON CAPISCE PINO APRILE
(Lettera Napoletana) Al recente Convegno di Gaeta (15-17 febbraio) il giornalista ed autore di saggi sul Sud Pino Aprile ha pronunciato un lungo intervento, non senza suscitare perplessità e dissensi tra i presenti. Una ventina di persone hanno abbandonato la sala mentre parlava. Confermando una visione della “questione meridionale” priva di retroterra storico e pesantemente condizionata dall’ideologia, Aprile ha commentato a senso unico la cronaca politico-giudiziaria degli ultimi mesi. Il giornalista ha espresso la sua indignazione per l’inchiesta che coinvolge l’amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi, vicino alla Lega, ha criticato la proposta del segretario della Lega, Roberto Maroni, di destinare per il 75% alla Lombardia le imposte pagate dai residenti (in realtà, la proposta riguarda tutte le Regioni, in linea con il federalismo fiscale), ha ironizzato sull’ex ministro della Pubblica Istruzione del governo Berlusconi, Maria Stella Gelmini ricostruendo (con diversi errori di fatto), una sua proposta “anti-meridionale” sui libri di testo peraltro non attuata. Aprile ha bollato con parole di fuoco Berlusconi e le sue frequentazioni private ed ha attaccato l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti. Dalla sua ricostruzione ha tenuto accuratamente fuori qualunque episodio che coinvolgesse la sinistra del Pd e di Nichi Vendola, così come quella del pm Ingroia e dell’ex pm De Magistris. In cambio ha elogiato l’assessore alle attività produttive del Comune di Napoli Marco Esposito (presente a Gaeta non si capisce a quale titolo), eletto nelle liste dell’Idv di Antonio Di Pietro, e legato al sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Dell’assessore Esposito, LN si è recentemente occupata per l’iniziativa-bidone sulle assicurazioni (cfr. “Sud: l’estorsione delle assicurazioni e il vuoto di rappresentanza politica”, LN 60/13).
Neanche una parola Aprile ha dedicato allo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, banca controllata da decenni da Pci-Pds-Ds-Pd, partiti ai quali hanno sempre fatto riferimento l’80% dei componenti della Fondazione Mps, che ha fruito, con il governo Monti, di contributi pubblici per quasi quattro miliardi di euro per l’emissione di bond destinati a salvare la banca dal fallimento dopo spericolate operazioni finanziarie. E neanche una parola ha speso sull’inchiesta per presunte tangenti che vede indagati i manager legati a D’Alema e Bersani. Il giornalista ha ricordato di passaggio che il Sud manca di banche, ma si è guardato bene dal ricordare la (s)vendita del Banco di Napoli, avvenuta nel silenzio di D’Alema, Vendola, Bassolino (che nei suoi libri non nomina mai), Loiero e Lombardo, e di riconoscere che l’unico tentativo di creare una Banca del Mezzogiorno per il finanziamento delle piccole imprese lo ha fatto l’ex ministro Tremonti. Silenzio anche sulle vicende giudiziarie di Nichi Vendola e sulla sua gestione della sanità in Puglia, sulle ruberie del tesoriere del Pd Luigi Lusi, al quale viene addebitata la sottrazione di almeno 5 milioni di euro dalle casse della Margherita, sugli affari di Filippo Penati, componente delle segreteria di Bersani, sul disastro amministrativo di De Magistris, che aveva promesso ai napoletani di portare la raccolta differenziata al 70% ed invece costringe i contribuenti a pagare la Tarsu più alta d’Italia per coprire il costo dei 40 milioni di euro all’anno necessari a spedire all’estero i rifiuti che non vuole bruciare in un termovalorizzatore.
Ma, al di là della sua visione politica straordinariamente faziosa, è il retroterra storico che manca nel meridionalismo di Aprile. Gli sfugge totalmente che, all’origine del sottosviluppo del Sud, non c’è la Lega Nord, che è nata negli anni ’90 del secolo scorso, ma l’unificazione dell’Italia, realizzata attraverso un’operazione ideologica chiamata Risorgimento. Questa operazione ideologica ha avuto tra le proprie guide politiche il Partito d’Azione, fondato da Mazzini e sostenitore di Garibaldi. Gli eredi ideologici diretti di tale partito sono stati il Partito Repubblicano ed alcune potenti lobbies finanziarie e mediatiche che continuano a condizionare pesantemente la politica e l’economia italiana. Centri studi come la Fondazione Olivetti, economisti e finanzieri come Bruno Visentini, Carlo De Benedetti e la sua lobby mediatico-finanziaria che fa leva sul gruppo editoriale l’Espresso, Carlo Azeglio Ciampi ed il milieu di Bankitalia, giornalisti come Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari, l’ideologo della costruzione dell’Ue, Altiero Spinelli, indicato come proprio maestro dall’attuale presidente della repubblica Giorgio Napolitano, il banchiere ed uomo di fiducia della tecnocrazia europea Mario Monti. Sono questi personaggi e queste lobbies, dalle quali Aprile non ha mai preso le distanze, gli eredi ed i continuatori del Risorgimento, da loro celebrato trionfalisticamente solo due anni fa. Non la Lega Nord, che è piuttosto una delle espressioni del disagio creato dal Risorgimento e della pessima unificazione del Paese. Alla Lega, inoltre, va riconosciuto almeno di aver messo in discussione la retorica patriottarda del tricolore e di Garibaldi e di aver votato contro l’insegnamento obbligatorio nelle scuole dell’Inno di Mameli (cfr. LN Notizie 9/12). Quanto alla storia più recente, il sottosviluppo economico meridionale va ricondotto alla sua classe dirigente politica. Nei decenni del cosiddetto Intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950-1993), il ceto politico meridionale ha scambiato la gestione dei flussi di finanziamento pubblici con i partiti nazionali (Dc, Pci, Psi, ecc.) e le grandi imprese del Nord. Questo scambio (risorse pubbliche usate per consolidare il proprio potere contro acquiescenza al potere dei partiti nazionali, della finanza e delle imprese del Nord) è continuato fino ad oggi. La Campania e Napoli – va detto a Pino Aprile – ultime negli indicatori economici di un Sud disastrato, sono state governate per 17 anni da Bassolino, la Calabria da Loiero, la Puglia (che Aprile presenta nei suoi libri come un modello) da Vendola; la Sicilia da Lombardo. Politici del Sud che hanno consentito lo smantellamento di quello che restava di apparato produttivo e di sistema di credito e che sono rimasti impassibili di fronte alla ripresa dell’emigrazione intellettuale. Con tutto questo la Lega Nord non c’entra, come non c’entrano Berlusconi, Tremonti, la Gelmini e gli altri bersagli preferiti di Aprile. A Gaeta, al termine del suo lungo intervento, Aprile ha illustrato il progetto di un giornale quotidiano che, a suo parere, sarebbe decisivo per la battaglia meridionalista. Ma al Sud servono anzitutto dei politici e dei quadri dirigenti professionali fortemente radicati nella cultura e nella tradizione meridionale, di cui il Regno delle Due Sicilie (che Aprile non nomina quasi mai) ha costituito il punto più alto. Un quotidiano potrebbe essere utile, ma a patto che a dirigerlo siano giornalisti senza pregiudizi ideologici, liberi da commistioni e complicità politiche e capaci di chiamare per nome corrotti e collusi. Tutti. Senza sconti per amici e compagni. (LN 61/13)
UNGHERIA: LO STATO RESTITUISCE IL DIRITTO DI EDUCARE A FAMIGLIA E CHIESA
(Lettera Napoletana) In Ungheria lo Stato nato dalla Rivoluzione francese fa un passo indietro e restituisce alla famiglia ed alla Chiesa il diritto ad educare. La nuova legge sull’educazione approvata nel 2010 dal governo conservatore guidato dal primo ministro Viktor Orban, leader di Fidesz (“Unione civica ungherese”) stabilisce il raggruppamento delle scuole di piccole dimensioni ed il loro passaggio dai Comuni alle Chiese cattolica e protestante. A metà degli anni ’90 un accordo tra Stato ungherese e Vaticano aveva stabilito il diritto delle scuole religiose al finanziamento statale. Dal 2010, nel giro di due anni – secondo dati del settimanale francese L’Express (17.11.2012) – circa 200 istituti scolastici sono passati dal controllo statale alle Chiese cattolica e protestante. Solo nel 2011 sono state 80 le scuole ungheresi cedute dai Comuni, indebitati, alle istituzioni religiose. Nelle scuole cedute dallo Stato si apprendono anche i canti religiosi ed il lunedì, all’inizio delle lezioni, viene recitata una preghiera in comune. I genitori scelgono il catechismo che sarà insegnato ai figli. In alternativa al suo studio, gli alunni frequentano un corso di morale. “I valori morali sono in ribasso – ha detto a L’Express il ministro per l’educazione nazionale Rozsa Hoffmann, del partito cristiano-democratico, alleato di Fidesz al governo – noi vogliamo riabilitarli, che si tratti di protezione della vita umana, di lavoro, di rispetto delle leggi, di onestà o di amor di Patria. La scuola non serve solo all’acquisizione di conoscenze, deve anche trasmettere valori”.
La nuova Costituzione ungherese, promulgata a gennaio 2012, contiene riferimenti al Re Santo Stefano ed all’Europa cristiana. “Riconosciamo il ruolo del Cristianesimo nella preservazione della nazione”, afferma il testo, che richiama anche “la Sacra Corona”, appartenuta – secondo la tradizione – a Santo Stefano, primo Re d’Ungheria, ed utilizzata per incoronare i suoi successori fin dal XII secolo. (LN61/13)
UE: LA SLOVACCHIA VINCE UNA BATTAGLIA SUI SANTI CIRILLO E METODIO
(Lettera Napoletana) Governo, Chiesa e popolo slovacco hanno vinto una battaglia contro la Commissione europea difendendo il loro diritto ad emettere, in occasione del 1150° anniversario dell’evangelizzazione del Paese, che si celebra nel 2013, monete da 2 euro con l’immagine dei Santi Cirillo e Metodio. In vista dell’anniversario, la Banca centrale della Repubblica Slovacca aveva selezionato, attraverso concorsi il bozzetto di una moneta con la doppia croce, simbolo del Paese, e le immagini dei Santi evangelizzatori del mondo slavo, nominati da Papa Giovanni Paolo II co-patroni dell’Europa. La Commissione UE, anche su indicazione di alcuni Paesi membri, aveva obiettato sul bozzetto, chiedendo l’eliminazione di alcuni simboli religiosi, in particolare, l’aureola disegnata intorno ai Santi Cirillo e Metodio “per obbedire al principio della neutralità religiosa”.
Il governo slovacco aveva inizialmente ceduto all’imposizione dell’Ue, ma la vigorosa reazione della Conferenza episcopale, sostenuta dai cattolici del Paese, ha spostato gli equilibri. “Nel 1988 – ha dichiarato il portavoce dei Vescovi slovacchi, Anton Ziolkovsky – i fedeli rischiarono la vita predicando la dottrina che avevano predicato i due Santi. Viviamo davvero in uno Stato di diritto, o piuttosto in un sistema totalitario che ci impone i simboli che possiamo utilizzare ?” (IPCO-Instituto Plinio Corrêa de Oliveira, 26.2.2013).
Di fronte alla proteste la Banca centrale slovacca ha fatto macchina indietro sul bozzetto originario con i simboli cristiani e l’aureola dei Santi Cirillo e Metodio. “Adesso – ha commentato il portavoce della Conferenza episcopale – ci aspettiamo che le nostre legittime richieste siano rispettate dalla Commissione europea” (LN61/13).
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