Il Movimento Neoborbonico ha inviato al prof. Alessandro Barbero, autore di un recente libro su Fenestrelle e sui soldati napoletani prigionieri al Nord durante l’unificazione italiana (“I prigionieri dei Savoia”), una richiesta di sfida/dibattito (interventi alterni di 3 minuti con clessidra, possibilità di utilizzare “testimoni” e documentazione, luogo e ora da definire) dopo quanto sostenuto nel testo e nei suoi recenti interventi.
Il prof. in questione, infatti, docente di storia medioevale e romanziere, ha affermato di avere finalmente riportato la verità sui fatti di Fenestrelle e, nello stesso tempo, ha utilizzato una terminologia offensiva e del tutto inappropriata in un contesto da dibattito storiografico definendo i i “neoborbonici” artefici di “strumentalizzazioni non si sa quanto in buona fede”, con “invenzioni a uso e consumo delle passioni e degli interessi del presente” mescolando citazioni dal “mare magnum” di internet, fonti archivistiche, passi della Civiltà Cattolica (la rivista dei Gesuiti prima artefice delle “menzogne”) e brani dei (documentati) testi di Del Boca, Izzo, Di Fiore o Aprile (“spudorate reinvenzioni”, “furibonde mistificazioni” con libri “incredibilmente pubblicati da case editrici nazionali” fino addirittura all’affermazione che chiude lo stesso libro con l’invito a non “stravolgere il proprio passato per fini immondi” a p. 316).
La questione di Fenestrelle e dei soldati napoletani appare tuttora, invece, complessa e irrisolta (CON RICERCHE E DOCUMENTI INEDITI IN NOSTRO POSSESSO E IGNORATI DA BARBERO)  e significativa di un certo modo di affrontare le tematiche relative all’unificazione italiana con la (consueta) “criminalizzazione” di chi non si riconosce nella storiografia ufficiale troppo spesso parziale e unilaterale e senza il minimo rispetto per i tanti che in questi anni hanno portato alla luce pagine del tutto dimenticate e tragiche della storia nazionale e per i tanti (troppi) che furono vittime oggettivamente incolpevoli di deportazioni, massacri, punizioni e umiliazioni motivate solo dall’appartenenza (non rinnegata) all’esercito borbonico.
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Allegato breve dossier storiografico-archivistico in risposta alle tesi di barbero.
Fenestrelle, verità e rispetto per i soldati napoletani (e per i neoborbonici)
Alessandro Barbero (docente di storia medioevale e romanziere piemontese) ha scritto un libro per “raccontare la verità su Fenestrelle”. Siamo, ovviamente, in attesa di leggere il libro in uscita in questi giorni (OVVIO IL SUGGERIMENTO DI EVITARE DI ACQUISTARLO) ma già secondo la recensione pubblicata sul Corriere (Corrado Stajano, 11/10/12), “il libro non offre un’analisi storica complessiva” e ricostruisce le vicende dei soldati borbonici imprigionati nel forte sabaudo “con una minuzia eccessiva”. Qualche osservazione è necessaria per chiarire la posizione di quei neoborbonici che nell’articolo vengono definiti “dissennati” o addirittura “assatanati” e artefici di “invenzioni” e “strumentalizzazioni”. E’ forse un’invenzione neoborbonica o della Civiltà Cattolica (rivista dei Gesuiti accusata dall’autore di aver raccontato molte menzogne sul tema) che circa sessantamila soldati dell’esercito napoletano furono arruolati nell’esercito italiano “in ogni modo” (parole e cifre dell’articolista)? E’ falso che essi furono deportati con viaggi lunghissimi e spesso drammatici in “campi di concentramento-lager” (questo il termine -piaccia o no- più appropriato) come quelli di Fenestrelle o di San Maurizio, Alessandria, San Benigno, Bergamo, Milano, Parma, Modena o Bologna? E’ forse un’invenzione che molti di loro portavano addosso “cenci e uniformi leggere” e furono trasportati nel gelo delle Alpi o altrove solo perché “si ostinavano a non tradire il giuramento” fatto al loro legittimo Re e continuavano a “dirsi napoletani”? E quale diritto consentiva o avrebbe consentito questa scelta di un governo contro un governo legittimo senza neanche una dichiarazione di guerra? A cosa si legava quella “decisione  del governo di Torino di arruolare subito nel’esercito italiano” quei soldati? E’ da “dissennati o assatanati” pensare che quella decisione si legava proprio al fatto che il governo di Torino avrebbe potuto trattarli, punirli o tenerli in prigione (dopo “aspri conflitti”) come disertori piuttosto che come prigionieri di guerra “con le garanzie a cui avevano diritto”? E poi una domanda banale ma opportuna: perché, se non ci fosse stata una volontà punitiva e coercitiva, invece di organizzare costosissimi viaggi e campi-prigione, non chiedere a quei soldati “in loco” la disponibilità a passare all’altro esercito e, in caso di rifiuto, lasciarli liberi? A proposito della mancanza di un’analisti storica complessiva, poi, già lamentata dal recensore, se pochi anni prima dei fatti in questione Fenestrelle era sotto accusa per le condizioni “di brutalità assoluta” in cui vivevano prigionieri (e guardie) in un sistema giudiziario-poliziesco sabaudo che (come si rileva da un recente testo di cui il prof. Barbero ha scritto anche l’introduzione), prevedeva “la rottura di ossa, le decapitazioni con le teste recise accanto alle braccia e nelle gabbie” (abitudine consolidata e duratura, come dimostrano le “decapitazioni per  comodità di trasporto” praticate ai danni dei nostri “briganti” post-unitari dai soldati piemontesi: cfr. Busta 60 Fondo Brigantaggio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito Italiano), in quale momento storico la stesso sistema avrebbe trasformato Fenestrelle in un albergo a cinque stelle? E se fosse stato tutto così “umanitario e caritatevole”, perché mai quei prigionieri avrebbero scelto il suicidio lanciandosi in mare durante i viaggi (cfr. “L’Armonia”, 1861) o i rischi di un complotto? Il processo, come afferma Barbero, avrebbe portato gli imputati al “rinvio ai loro corpi militari” ma questo, come si è detto, non rappresentava automaticamente per loro una liberazione. La ricerca archivistica, come sa bene chi frequenta gli archivi per decenni e assiduamente, è spesso una ricerca “in negativo”: sono più numerosi, cioè, i documenti che mancano e che o sono scomparsi o sono altrove, piuttosto che quelli che abbiamo la fortuna di ritrovare. E se ci risulta un documento in cui un ufficiale racconta la nostalgia di un militare borbonico con umanità, quanti ufficiali non hanno raccontato il loro disprezzo (o le loro punizioni) verso gli stessi soldati?  Del resto, più “illegali” erano le pratiche finalizzate alla punizione o alla eliminazione di quei soldati nemici, meno sono le “prove” archivistiche rintracciabili, come ci dimostrano storie e stermini anche più attuali (quali archivi conservano i documenti di tutti i  morti dei massacri nazisti o comunisti?). E il problema resta e resiste addirittura ancora nel 1872 se il governo italiano trattava la complicata questione della costituzione di una “colonia penitenziaria” prima in Patagonia, poi in Tunisia, sull’isola di Socotra o in Borneo… Evidentemente si trattava ancora di migliaia di “refrattari” con la progressiva e drammatica aggiunta dei nostri “briganti”. Quello che non torna, dopo tanti (troppi) anni è il numero dei nostri soldati: se, come si afferma anche nell’articolo, ben sessantamila soldati furono trasportati, deportati, ricoverati, arruolati o imprigionati al Nord, quanti di essi furono effettivamente assassinati, fucilati o feriti? Quanti di essi morirono nelle carceri o nei campi di concentramento-lager dei Savoia? Quanti ne morirono per quelle ferite o dopo le malattie inevitabili per la promiscuità e la durezza delle condizioni imposte? E se qualcuno sostiene che a casa vi tornarono (ma i riscontri effettuati finora presso gli archivi locali sono negativi e drammatici) o che furono arruolati nel nuovo esercito, perché oltre 10 anni dopo, ancora si cercava di spedirli, a migliaia, in Patagonia? E cosa gli successe dopo i (vani) tentativi di esiliarli visto che non c’era, evidentemente, la volontà di liberarli? E’ certo, allora, che le ricerche devono continuare, ma è altrettanto certo che molte (troppe) migliaia di nostri soldati (in grandissima parte giovani e giovanissimi: il cuore materiale e morale della società meridionale post-unitaria) furono vittime incolpevoli e dimenticate di un’unificazione realizzata con troppi errori e in una storia, “un’altra terribile storia”, come scrisse efficacemente Paolo Mieli proprio a proposito di Fenestrelle (Corriere, 11/10/04), che abbiamo il diritto e il dovere di conoscere rispettando quei soldati borbonici del passato (uno, cento o trentamila poco importa) e rispettando chi oggi cerca semplicemente di ricostruire e raccontare la loro storia nonostante offese e insulti gratuiti e immotivati.
Domenico Matania