Della Torre Francesco, costruita da Caltagirone all’isola B5 del Centro Direzionale di Napoli, restano occupati 11 piani, dal 16 al 27/esimo. Ancora nel 2004 erano 25. Gli altri sono stati abbandonati nel corso degli anni, mano a mano che l’Autorità per le Garanzie delle comunicazioni, che dovrebbe avere per legge (249/1997) sede a Napoli, veniva smantellata. Direzione dopo direzione, ufficio dopo ufficio, funzionario dopo funzionario. Adesso di Direzioni dell’Authority TLC a Napoli ne resta solo una, quella per la Tutela dei Consumatori; 4 sono state trasferite a Roma, insieme a 5 Servizi. Nella Torre Francesco, inaugurata nel 1998 ed ancora definita beffardamente sul sito dell’Autorità per le Comunicazioni “sede principale di Napoli”, c’è sempre meno da fare. I dipendenti sono ridotti a 118 unità, una trentina dei quali a contratto. Altri 223, più i quattro commissari ed il presidente Marcello Cardani se sono andati invece a Roma, dove è stata aperta una sede inizialmente definita “di rappresentanza” e adesso “secondaria”, ma divenuta in realtà la sede operativa. L’attività dell’organismo istituito nel 1997 per regolare l’intera materia delle comunicazioni, si svolge in realtà a Roma, in un edificio di 5 piani in via Isonzo. Lo spostamento di funzioni da Napoli verso Roma è cominciato dai primi anni del 2000, nel silenzio e nell’indifferenza della classe politica meridionale. A partire da quanti avevano parlato dell’istituzione dell’Authority TLC a Napoli come del “ritorno alle funzioni direzionali della città”, e di “Napoli capitale delle Tlc”. “Dopo anni e anni di spostamento da Napoli verso Roma e verso il Nord di importanti centri direzionali c’è ora una significativa inversione di tendenza (…) attorno all’Authority possono svilupparsi con forza e serietà altre iniziative per fare di Napoli una capitale moderna del mondo delle comunicazioni”, annunciò trionfante l’allora sindaco di Napoli, Antonio Bassolino (ADN Kronos, 12.5.1997). Ma era un inganno anche quello. La scelta di Napoli come sede dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – confermò Valter Veltroni, ministro per i Beni Culturali e vicepresidente del Consiglio nel governo Prodi – è “il segno dell’impegno del Paese nei confronti di Napoli” (ADN Kronos, 7.4.1997). “Prima abbiamo insediato l’Autorità per l’Energia a Milano, dunque al Nord, poi quella delle Telecomunicazioni a Napoli. Ciò dimostra che questo governo comincia, passo per passo a mettere in pratica quelle operazioni di decentramento che tutti avevano chiesto”, assicurò Romano Prodi, presidente del Consiglio (“la Repubblica”, 12.7.1997).
Ma la sede dell’Autorità per l’Energia è rimasta a Milano, mentre quella per le Comunicazioni è stata progressivamente smontata e portata via da Napoli, senza che coloro che si attribuirono il merito delle “scelta napoletana” dicessero una parola e nel silenzio complice di tutti gli altri. I sindacati hanno contrattato – lo ha fatto la Cgil – il trasferimento a Roma dei dirigenti residenti nella Capitale. Il disagio di lavorare fuori sede, infatti, è insostenibile per chi non sia nato a Sud del Garigliano ed è riservato ai milioni di meridionali emigrati. In cambio, nella Torre Francesco del Centro Direzionale, avrebbero dovuto essere nominati altri dirigenti, ma non si sono mai visti. A Roma lavorano i quattro commissari dell’Authority Tlc ed il presidente, con i loro assistenti. Di tanto in tanto una riunione del Consiglio viene fatta svolgere “nella sede principale di Napoli” per giustificare, forse, il canone di affitto della Torre Francesco. In barba alla spending review del governo Monti, infatti, le sedi dell’Authority TLC sono due, per una cifra complessiva appostata nel bilancio 2011 di 8 milioni e 64mila euro, 4 milioni e mezzo dei quali per la sede “secondaria” a Roma (“La Voce delle Voci”, giugno 2012), l’unica che conta. A Roma, un anno fa, è stata trasferita anche la gestione delle buste paga dei dipendenti; a Roma, in un’agenzia della BNL è stata trasferita la tesoreria, prima al Banco di Napoli; a Roma si svolgono quasi tutte le audizioni con i gestori delle telefonia e gli operatori radio-televisivi, così come i convegni di studio. Il rapporto con il territorio meridionale, che avrebbe dovuto garantire – si assicurò all’epoca – un indotto in un settore di punta come le TLC è interrotto. Napoli è un corpo estraneo per l’Autorità di Garanzia nelle Comunicazioni, anzi una sede “disagiata”, come sosteneva qualche anno fa uno dei Commissari, nonostante gli spostamenti garantiti sui treni TAV e soggiorni pagati all’Hotel Holiday Inn, con l’assistenza di hostess. A Parma, invece, città periferica di meno di 200mila abitanti, funziona dal 2003 l’Autorità per la sicurezza alimentare, con 450 dipendenti ed un direttore generale che viene dalla Francia. E nessuno ha mai pensato di trasferirla a Roma. Nella vicenda della sottrazione dell’Authority TLC a Napoli – che avrebbe dovuto costituire l’unico segnale in controtendenza rispetto alla disarticolazione dell’apparato produttivo e delle funzioni direzionali subita dalla città a partire dagli anni ’90 – la differenza è data dai politici. Quelli meridionali non hanno ritenuto di spendere una parola per denunciare la truffa della finta ubicazione dell’Authority TLC a Napoli. E niente hanno ritenuto di dire e di fare neanche i nuovi meridionalisti a corrente alternata. Attivissimi nella denuncia indignata se al governo c’è la Lega, da loro considerata non uno degli effetti del Risorgimento, ma la causa; silenziosi e docili se al governo c’è il tecnocrate ed uomo della grande finanza Mario Monti, che sotto Roma a stento mette piede, e se lo fa avverte che “Il Sud deve cambiare mentalità” (Il Mattino, 6.9.2012). La Lega al governo non c’è più, ma l’Authority TLC si prepara a smontare gli ultimi presidi ancora attivi a Napoli, mentre tacciono i politici meridionali ed i meridionalisti ad intermittenza. (LN56/2012).
TRADIZIONE: SEMPRE PIÚ MESSE TRIDENTINE IN BRASILE
Vista dal Brasile, dove si concentrano 145 milioni di cattolici, l’applicazione del Motu Proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum, che ha dato piena facoltà di celebrazione del Rito romano antico, detto tridentino, è incoraggiante.
A Salvador da Bahia per il III Incontro Summorum Pontificum (10-14 settembre) sono arrivati 7 Vescovi, oltre 50 tra sacerdoti e seminaristi, ed una ventina di esponenti dell’associazionismo cattolico, da Una Voce a Confraternite religiose. Sono un centinaio le Messe in rito romano antico celebrate in tutto il Paese, una almeno in quasi tutte le principali città, e la tendenza è all’aumento. L’età media dei sacerdoti che scelgono il rito tradizionale è intorno ai 30 anni, la stessa dei presenti al Convegno, svoltosi in una residenza della Curia Arcivescovile di Salvador, con il saluto e gli interventi dell’Arcivescovo e Primate del Brasile Dom Murilo Sebastião Ramos Krieger e di due Vescovi ausiliari, Dom Gilson Andrade da Silva e Dom Gregorio Paixão, quest’ultimo autore di una significativa relazione sul canto gregoriano.
Un ruolo di grande importanza nella diffusione della messa tradizionale – veramente sorprendente se si pensa alle posizioni della CNBB (Conferenza episcopale brasiliana) fino agli anni ’90 – lo riveste l’Amministrazione Apostolica Personale São João Maria Vianney di Campos (Stato di Rio de Janeiro), affidata a Dom Fernando Arêas Rifan. Vi appartengono circa 30mila fedeli e vi si celebra esclusivamente il rito romano antico (che nel Motu Proprio, con una scelta lessicalmente infelice, si chiama “forma straordinaria” ). Si tratta degli eredi del Vescovo Mons. Antonio De Castro Mayer, che, dopo aver resistito all’ondata conciliare insieme alla Fraternità San Pio X di Mons. Marcel Lefebvre, sono rientrati in piena comunione con Roma nel 2002 ed hanno ottenuto l’autonomia dell’Amministrazione apostolica personale ed il diritto a celebrare in esclusiva la Messa tridentina. Da Campos partono sacerdoti che celebrano in altre città e sono attualmente 13 le comunità di fedeli animate nel Paese dai sacerdoti dell’Amministrazione apostolica (33 sacerdoti, 100 religiose, 27 seminaristi, 150 chiese, nessun problema di vocazioni).
Naturalmente non tutto si svolge senza contrasti e resistenze, ma i pregiudizi anti-tradizionali e l’idolatria del cosiddetto “spirito del Concilio” in Brasile sono certamente minori che in Europa, mentre i giovani sacerdoti tendono a contestualizzare il Concilio, praticando già quell’ermeneutica della continuità raccomandata da Benedetto XVI, e considerandolo come uno dei Concili della Chiesa cattolica e non come il faro di luce che guiderebbe una presunta nuova era della Chiesa. Parole coraggiose sono venute da Dom Fernando Guimarães, Vescovo di Garanhuns (Stato di Pernambuco), che ha affrontato il tema della vita liturgica nell’epoca della secolarizzazione. “In Francia, secondo i dati della Congregazione per il Clero, solo il 2% dei fedeli assiste alla Messa domenica: è l’effetto delle secolarizzazione nella moderna società pluralista che non accetta il diritto della Chiesa ad una propria cultura e la relega alla periferia della società, riducendola ad una Ong”, ha affermato. Si potrebbe aggiungere che la riforma liturgica conciliare è stata parte di questo processo di secolarizzazione. Ciò indipendentemente dalle intenzioni di chi l’ha voluta e dal contenuto letterale della Costituzione Sacrosanctum Concilium.
Il teologo e liturgista Don Nicola Bux ha precisato, in un intervento molto apprezzato, che il Concilio Vaticano II non aveva in realtà abolito il rito tridentino, né aveva il potere di farlo, perché la Chiesa “in situazioni diverse può aumentare il numero di riti, ma non vietarli”. Neanche il latino era mai stato abolito, ha aggiunto Don Bux. Ma come sia andata a finire lo hanno visto tutti ed oggi uno degli ostacoli alla celebrazione della Messa con il bellissimo rito romano antico è proprio la mancata conoscenza del latino da parte dei sacerdoti. Il Convegno di Salvador è stata anche l’occasione per portare la Messa di San Pio V, e farla conoscere ai fedeli, in chiese e basiliche prestigiose.
Il 12 settembre, Don Nicola Bux ha celebrato una Messa solenne nel Santuario do Senhor Bom Jesus do Bomfim, davanti ad oltre 100 fedeli. Il giorno seguente, nella Basilica di Nossa Senhora da Conceiçao da Praia Dom Fernando Arêas Rifan ha celebrato un Pontificale di ringraziamento per i 5 anni del Motu Proprio Summorum Pontificum. “Erano 50 anni – ha osservato il quotidiano di Salvador A Tarde (14.9.2012) – che non si celebrava una Messa di questo genere nella città”, che è la terza del Brasile, con 3 milioni di abitanti. E Salvador da Bahia è anche il luogo dove il 26 aprile del 1500, giorno di Pasqua, gli scopritori portoghesi appena sbarcati celebrarono – come riporta la cronaca di Pero Vaz de Caminha – la prima Messa nel Paese. Il quadro raffigurante la scena è l’immagine scelta per il logo del Convegno. Oltre 500 anni dopo, il rito romano antico ritorna in Brasile e prende uno slancio che può aiutare l’Europa. Per la nuova evangelizzazione. (LN56/2012).
CRISI: DA ENZENSBERGER PAROLE CHIARE SU EURO ED UE
(Lettera Napoletana) Forse ci voleva un mostro sacro (pentito) della sinistra come il tedesco Hans Magnus Enzensberger per enunciare le verità sull’Unione Europea e sull’euro che in tanti, anche nello schieramento “critico” del centrodestra e dei cattolici, non hanno finora trovato il coraggio di enunciare. Dopo la pubblicazione di un violento pamphlet sulla limitazione delle libertà reali che i 40mila eurocrati al lavoro tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte (sede della Bce), ad un costo compreso tra 8 ed 11 miliardi di euro all’anno, hanno prodotto in questi anni di “integrazione” (v. “Crisi: l’euro spinge verso il fallimento l’Unione europea, LN 44/11), l’83enne intellettuale tedesco affronta la paurosa crisi economica nei Paesi dell’Eurozona (“l’Espresso”, 6.9.2012) e le responsabilità delle guide dell’Ue, incontrollate ed incontrollabili, selezionate con i meccanismi di cooptazione che dominano nella tecnocrazia e nell’alta finanza. “Da un bel po’ di tempo in qua – scrive Enzensberger – i Paesi europei non sono più governati da istituzioni legittimamente democratiche (…). D’altronde, anche chi, come e che cosa si decide all’interno della Commissione Europea o nell’Eurozona sono solo degli adepti ad intuirlo. Quel che tutte queste istituzioni e decisioni hanno in comune è di non essere previste in nessuna Costituzione del mondo. E che nessuno di noi normali elettori può mai esprimere la sua riguardo alle loro decisioni”. L’intellettuale tedesco definisce “originale” il modo in cui è avvenuta “la nuova conquista del potere in Europa da parte delle lobbies tecnocratiche e delle élites rivoluzionarie che hanno progettato l’Ue. “Senza fiaccolate, senza marce, senza issare barricate, e senza l’uso di un panzer! (….) tutto si decide, e molto pacificamente, in qualche segreto retrobottega”.
Ma la parte più sorprendente della critica di Enzensberger – che ha vissuto per anni a Cuba prima di intraprendere un cammino di revisione intellettuale che lo ha portato su posizioni antitotalitarie – è nel richiamo al principio di sussidiarietà, uno dai cardini della dottrina cattolica, che viene evocato in alcuni trattati dell’Ue, ma è totalmente disatteso nei fatti. Tragicamente, il principio di sussidiarietà non viene richiamato dai Vescovi europei, neanche ora che la crisi economica indotta dall’euro sta colpendo ferocemente milioni di famiglie in Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia.
“Regole sottoscritte come il “Principio di sussidiarietà” nel Trattato di Roma (art. 5, n.d.r) o la clausola del “no bail out” (“niente salvataggio”, clausola che vieta l’assunzione dei debiti di un Paese membro dell’Ue da parte degli altri, n.d.r) nel Trattato di Maastricht vengono infrante a piacere (…) ma è in particolare il Principio di sussidiarietà che questa politica europea non rispetta, forse perché è un’idea sin troppo evidente per essere presa sul serio” – scrive Enzensberger – che enuncia in maniera un po’ approssimativa ma ancora comprensibile questa regola base della dottrina sociale cattolica: “quel principio afferma né più né meno che in ogni Comune come in ogni provincia, in ogni Stato nazionale come nelle istituzioni europee è sempre solo l’istanza più vicina al volere dei cittadini quella davvero vincolante”. In realtà, una corretta formulazione del Principio di sussidiarietà è riassunta nella formula: “La Comunità superiore non è autorizzata ad impedire quell’evoluzione e ad usurpare quei compiti che sono peculiari e possibili all’individuo e alle comunità membro” (Eberhard Welty O.P., Catechismo Sociale, trad. it. Edizioni Paoline, Francavilla 1966, vol. I, pag. 162). Ma che esso sia radicalmente contraddetto dall’Ue, come scrive l’intellettuale tedesco, non c’è alcun dubbio. “(…) Come la storia dell’Unione europea purtroppo dimostra, questo principio è sempre rimasto lettera morta – aggiunge Enzensberger – altrimenti l’addio alla democrazia non sarebbe avvenuto così facilmente a Bruxelles. Né l’espropriazione politica ed economica dei cittadini europei sarebbe avanzata sino ai livelli attuali”.
Un meccanismo oligarchico governa l’Ue, ed è significativo che il trio Commissione Europea-Bce-Fmi, che sta gestendo la crisi dell’euro, è stata giornalisticamente ribattezzata la “troika”, un termine che risale all’Unione Sovietica di Stalin. Lo scrittore tedesco lo descrive con chiarezza: “le decisioni dei membri interni di questo ‘Comitato di Salvezza’ sono, dal punto di vista formale, immediatamente vigenti, e in ogni caso non dipendono dalla ratifica di nessun Parlamento nazionale. (…) I nostri Padrini europei – aggiunge Enzensberger, che paragona la cupola dell’Ue alla mafia – sono quindi oggi politici sottratti ad ogni controllo giuridico e ad ogni istanza legale. Anzi godono di un privilegio che non spetta neanche ad un boss della camorra: e cioè l’assoluta immunità giuridica, cosi almeno sta scritto negli articoli 32 bis 35 del Trattato ESM (“European Stability Mechanism”, che istituisce il cosiddetto fondo salva-Stati, n.d.r.). “L’espropriazione politica dei cittadini ha in tal modo raggiunto il suo apice”, osserva Enzensberger. “Il processo di espropriazione è invero iniziato molto prima, al più tardi con l’introduzione dell’euro”. Segue un’analisi sugli errori anche tecnici che sono alla base del fallimento della moneta unica ed hanno portato alla crisi attuale. “Questa valuta comune è il risultato di un mercimonio politico che, con la massima scioltezza, si è sbarazzato di tutti i presupposti economici. Sono state completamente ignorate tutte le diversità strutturali delle varie economie nazionali, le loro divergenti competitività, così come i loro straripanti debiti sovrani. Il piano di omogeneizzare in tal modo l’Europa non ha poi prestato la benché minima attenzione alle differenze storiche tra le culture e le distinte mentalità del Vecchio Continente”.
Lo scrittore tedesco denuncia il ricatto di quelli che definisce ironicamente i “Salvatori” d’Europa”. “ ‘Se fallisce l’euro fallisce l’Europa!’. È con questo slogan assai spiritoso che si prova a convincere un continente con mezzo miliardo d’abitanti a seguire l’avventura di una classe politica completamente isolata. (…) Proprio la cosiddetta crisi dell’euro dimostra che in realtà non c’è in gioco solo una espropriazione politica dei cittadini, ma che questa conduce logicamente al suo pendant: e cioè l’espropriazione economica.” Per l’intellettuale tedesco di fronte alla crisi innescata dal progetto tecnocratico e totalitario dell’Ue e dal suo strumento, l’euro, non ci sono soluzioni a portata di mano. “Un’unica, semplice via d’uscita da questa trappola in ogni caso non c’é. (…) Clausole che prevedano una fuoriuscita dall’euro non sono mai state inserite nei Trattati”, scrive. Le conclusioni non sono però prive di speranza. “I 500 milioni di europei non saranno certo tentati di lasciarsi andare senza opporre la minima resistenza. E seguendo anzi fino alla fine i mantra preferiti dei loro Salvatori: ‘Non c’è alternativa, se falliamo noi fallisce l’Europa!’ (…) Certo, senza costi, gravi conflitti e dolorosi tagli – è la previsione di Enzensberger – non vi sarà via d’uscita dal vicolo chiuso in cui i nostri Ideologi dell’Interdizione democratica ci hanno ficcati. E chi già adesso intona l’inno funebre all’Europa non ne conosce le potenzialità”. Certo, la reazione contro gli apprendisti stregoni dell’Ue aumenta, anche se quasi sempre non dispone ancora di leader adeguati. Senza di loro, non si potranno rimandare ai loro Inner circle, ed alle loro pratiche esoteriche, i tecnocrati del progetto Ue responsabili dell’attuale disastro. (LN56/12).
ABORTO: DALLA PLANNED PARENTHOOD MILIONI DI DOLLARI PER OBAMA
(Lettera Napoletana) La multinazionale dell’aborto Planned Parenthood investirà 3 milioni e mezzo di dollari per finanziare la rielezione di Barak Obama e per attaccare con una campagna pubblicitaria Mitt Romney, sostenuto dai pro-life, negli Stati americani dove il risultato elettorale è più incerto, come l’Ohio e la Virginia. La campagna sarà condotta dal Planned Parenthood Action Fund, braccio politico della ONG che è responsabile di circa 300mila aborti all’anno (cfr. www.lifenews.com. 25.9.2012). Nel programma di Mitt Romney è previsto il taglio dei finanziamenti federali alla multinazionale abortista. La campagna pubblicitaria comincerà questa settimana in Virginia, e la prossima settimana in Ohio.
Uno degli spot, “Cynthia’s Story”, mostra una donna, Cynthia Wilson, che ringrazia la Planned Parenthood per averla aiutata a sopravvivere ad un tumore grazie ad una diagnosi precoce, anche se in realtà gli aborti promossi dalla multinazionale aumentano il rischio di tumore alla mammella e nessun centro dell’organizzazione fornisce esami di mammografia alle donne. Il resto dello spot è dedicato ad un attacco al progetto del candidato conservatore Mitt Romney di tagliare i finanziamenti statali alla multinazionale abortista. L’associazione pro-vita Live Action ed il blogger Jill Stanek hanno diffuso un video che documenta le telefonate effettuate a 30 centri della Planned Parenthood in 27 Stati Usa, ai quali è stato chiesto se fosse possibile effettuare una mammografia ottenendo sempre una risposta negativa.
Alla Convenzione del Partito Democratico svoltasi dal 4 al 6 settembre a Charlotte (North Carolina) decine di donne della Planned Parenthood in t-shirt rosa con la scritta “Yes, we plan” (giocando sullo slogan di Obama nel 2008 “Yes, we can”) hanno accolto i delegati. La “platform” (programma elettorale) del partito democratico, approvata il 4 settembre scorso alla Convenzione di Charlotte, è contraria ad ogni limitazione del “diritto di scelta della donna”, compresa la pratica dell’aborto tardivo (“partial birth abortion”), vietato in quasi tutto il mondo e dal 2003 anche in America con voto bipartisan e confermato dalla Corte Suprema (cfr. Il Sole – 24 Ore”, 5.9.2012). Sostenuta fin dalla nascita, negli anni ‘60, dalla Fondazione dei petrolieri americani John e Nelson Rockfeller, la Planned Parenthood ha promosso in numerosi Paesi del Terzo mondo programmi per l’aborto e la sterilizzazione di massa. (LN56/12).
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Lettera napoletana
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