Una delle industrie più avanzate nel Regno delle Due Sicilie era l’industria tessile. Rispetto al lino e al cotone, il settore tessile che andava per la maggiore era l’industria della seta e della lana, la cui produzione artigianale poteva vantare antichissime origini.
La storia borbonica dell’industria tessile del Regno di Napoli inizia nel 1805, con un decreto di Ferdinando IV di Borbone che aboliva la pesante e macchinosa legislazione del vicereale sulla seta dichiarando, invece, che fosse “libero e inviolabile il commercio interno ed esterno delle seterie”. Nella prima metà dell’ottocento l’industria della seta raggiunse livelli altissimi, sebbene avesse il difetto di concentrarsi raramente in agglomerati industriali, sviluppandosi piuttosto in singole industrie o a domicilio. La Real fabbrica di San Leucio deteneva il primato sia per la qualità del prodotto ottenuto, sia per la qualità della vita degli operai del piccolo borghetto industriale studiato appositamente a misura di uomo. A Napoli c’erano almeno altri quattro setifici. A questi si devono sommare quello di Aversa, di Portici, d’ Ischia e di Torre del Greco. Lo sviluppo industriale della seta non interessava solo Campania e Terra di Lavoro. La Calabria, che ugualmente poteva vantare un’antichissima tradizione nella lavorazione della seta, aveva numerosissime filande la maggior parte delle quali occupava circa un centinaio di operai con dei picchi che toccavano addirittura i 598 operai di Carolei. La seta che veniva fuori dalle filande calabresi, era d’ottima qualità e veniva esportata per la maggiore a Lione. Basilicata e Puglia, in particolare la provincia di Lecce, sebbene producessero seta in minor quantità, ugualmente riuscivano ad esportarla all’estero.
La produzione della lana, come quella della seta, aveva una lunga tradizione radicata nei territori regnicoli in particolare nelle regioni di Abruzzo, e Puglia che con i loro grandi pascoli permettevano l’allevamento in grande scala di ovini dai quali si ricavava la materia prima lavorata sul posto o anche esportata oltre mare. Basti pensare che il panno rosso per i pantaloni degli zuavi dell’esercito francese era interamente importato dal Regno Napoli. Buoni lanifici sorsero quindi a Chieti, Fara Sammartino, Torricella, all’Aquila, dove nel 1840 furono introdotti i telai a spola volante così come a Campobasso. Sorsero buoni lanifici anche a Potenza, a Bari, a Taranto e in numerose località della Calabria. Sebbene mancasse nel Regno, l’allevamento di capre del Tibet e di capre Merinos, nella Mostra Industriale tenutasi a Napoli nel 1853, il Reale Istituto d’Incoraggiamento segnalò all’attenzione l’elevato grado di qualità raggiunto dai tessuti presentati dall’Ospizio di San Ferdinando di Salerno, dalle flanelle dei Fratelli Odorisio di Chieti, dalle stoffe di lana e cotone dell’Ospizio Francesco I di Giovinazzo e dal lanificio di Santa Caterina a Formello dove venivano allevati i castori e dove si producevano gli indumenti per la Real truppa.
Francesca Romano
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