Quando nel 1734 il  Regno di Napoli e di Sicilia divenne indipendente, Carlo I di Napoli, poi III di Spagna, diede inizio ad un’energica fase di emancipazione dalla madre patria spagnola. Uno dei primi settori in cui il sovrano volle iniziare a lavorare, considerando la collocazione geografica del Regno, fu proprio il settore della marina. In effetti come affermato in un editto reale del 18 agosto 1741: “I nostri nobilissimi Regni di Napoli e Sicilia situati in sì vantaggiosa positura, essendo l’uno del tutto e l’altro da tre lati bagnati dal mare, possono per mezzo della navigazione facilmente comunicare ed estendere il traffico con qualunque Nazione”. Nonostante queste importanti premesse geografiche, Carlo dovette iniziare quasi da zero. Se la flotta mercantile doveva infatti risorgere da circa due secoli di dipendenza dal vicereame, la marina militare sembrava addirittura inesistente non essendosi trovata “né una vela né un marinaio”. Ecco perché l’Inghilterra durante la guerra di successione austriaca nel 1741, poté permettersi di minacciare il Regno di Napoli mettendolo in condizione di mantenere la neutralità, cosa che spinse definitivamente re Carlo a volersi dotare di un sistema di difesa marittimo. Oltre a difendersi dai giochi di forza delle grandi potenze europee,  nell’immediato urgeva risolvere la questione della difesa delle coste dalle cicliche incursioni dei pirati barbareschi. Fin dal 1735 in realtà, il Marchese Monteleagre, ministro della guerra e della marina di Carlo I, dovette provvedere alla creazione di un’armata di mare proprio per difendersi dai pirati. Delle quattro galere che andarono così a formare il primo nucleo della marina borbonica, tre erano state acquistate dallo Stato Pontificio. Queste, nel febbraio del 1739, furono armate e divise in tre squadre: la prima che sorvegliava le coste tirreniche dallo stretto di Messina fino alle Bocche di Capri, la seconda che sorvegliava lo Ionio e la terza predisposta per la difesa la Sicilia. A questa prima reazione militare che portò a diversi scontri con le bande barbaresche, seguì l’azione diplomatica. Il 7 aprile 1740 fu quindi stipulato un trattato con l’Impero Ottomano, un trattato significativo dato che proprio dalla Reggenza di Tunisi e dal Palasciato di Algeri, sottomessi alla Sublime Porta anche se con un certo grado di indipendenza, partivano le navi dei pirati che depredavano le coste regnicole. Se da un lato il trattato si proponeva di limitare il numero delle incursioni piratesche, dall’altro mirava a far acquisire al piccolo Regno italico una serie di vantaggi a livello commerciale e politico, vantaggi che lo avrebbero messo sullo stesso piano di Francia, Inghilterra, Olanda e Svezia, potenze amiche nella compravendita delle merci e nel risarcimento dei danni subiti dalle navi per qualsiasi incidente. D’altra parte la stessa importanza dell’interlocutore, ovvero uno degli imperi più estesi del globo, che dominava i mari, dal Mediterraneo al Golfo Persico, non faceva altro che giovare al prestigio del nascente stato. A questo trattato principale, seguì il 3 giugno del 1741, quello con il Bey di Tripoli Ahmad quindi quello con Federico I di Svezia il 30 giugno 1742, con Federico V di Danimarca il 6 aprile 1748 e con l’Olanda il 27 agosto 1753. In uno stato di soggezione ai trattati stipulati durante il vicereame, rimasero invece i rapporti commerciali con Spagna, Francia, Inghilterra e gli stati rivieraschi della costa Atlantica.
Francesca Romano