Il 1 agosto 1787 si spegneva nella casa redentorista di Nocera de’ Pagani sant’Alfonso Maria de’ Liguori all’età di novantuno anni. A spegnersi non era solo il fondatore dei Redentoristi, né solo uno dei tanti santi proclamati dottori della chiesa. A spegnersi era una personalità che aveva vissuto in pienezza il Vangelo e lo aveva fatto soprattutto nei vicoli di Napoli.
Durante il vicereame austriaco al tempo dell’anticurialismo napoletano, del dibattito tra Vico e i Cartesiani, in un mondo, in poche parole, brulicante di idee e di arte, Alfonso crebbe tra tutti gli agi riservati ai rampolli delle nobili famiglie napoletane, educato fin dall’infanzia alla musica, alla pittura e agli studi che il giovane aveva portato avanti con risultati eccellenti divenendo dottore in diritto civile e canonico ed iniziando ad esercitare la professione di avvocato già all’età di sedici anni. Giovanissimo divenne poi giudice del “Regio Portulano” di Napoli, poi ambasciatore, poi cardinale. Ma non era questa la strada del giovane Alfonso. “Lascia questo mondo e datti a me” la chiamata alla vita consacrata trovò pieno compimento nel giovane Alfonso all’età di trent’anni. Questa vocazione, sbocciata nelle frequentazioni alla confraternita dei dottori presso l’Oratorio dei Filippini dove assisteva i malati del più grande ospedale di Napoli, dovette scontrarsi con l’opposizione del padre che aveva per lui altri progetti. Il 17 dicembre del 1726 Alfonso fu quindi ordinato sacerdote diocesano. Ciò che maggiormente legava sant’Alfonso alla Napoli dei vicoli, era l’iniziativa delle cappelle serotine. Al calar del sole, alla fine della giornata lavorativa, Alfonso incontrava i popolani in diversi luoghi, anche nelle stesse umili dimore e qui aveva luogo la lettura del Vangelo, il suo commento da parte della gente comune e guidato dal sacerdote, la preghiera comunitaria, i canti religiosi, molti inventati dallo stesso sacerdote autore, tra l’altro della famosissima canzone natalizia: Tu scendi dalle stelle. A sant’Alfonso e al suo tentativo di rendere tangibili i misteri del Vangelo va anche il merito di aver sostenuto e incoraggiato la diffusione dell’arte presepiale la cui diffusione si legava soprattutto al domenicano Padre Gregorio Maria Rocco e all’azione dei Gesuiti. Si trattava quindi di missioni popolari che l’ex giurista riuscì ad arte a far approvare dal cardinale Francesco Pignatelli. Le cappelle serotine iniziarono a moltiplicarsi esponenzialmente nei sobborghi della città ma dopo la fondazione della congregazione del Santissimo Redentore queste missioni oltrepassarono i confini di Napoli e poi del Regno per arrivare ad una diffusione mondiale. Il concetto modernissimo alla base delle cappelle serotine che decretò quindi anche il loro successo, era che i laici stessi potevano e dovevano farsi evangelizzatori della società, per questo dovevano essere stimolati e istruiti a dovere nell’ascolto del Vangelo attraverso strumenti e linguaggi semplici ed efficaci. I risultati si toccavano con mano: a detta del Tannoia, primo biografo di Sant’Alfonso, coloro che partecipavano alle cappelle serotine erano “veri e propri innamorati di Gesù Cristo”. Venditori di castagne, di farina, di sapone, pescatori, non meno degli intellettuali erano degni destinatari del Vangelo, potenziali evangelizzatori e soprattutto potenziali santi. Compatrono di Napoli e di San Felice a Cancello, Sant’Alfonso e il suo messaggio vive ancora più o meno consapevolmente nei vicoli di Napoli, nel modo di fare delle persone, nel modo di ragionare, nel modo di concepire la santità come qualcosa a cui tutti possono e devono aspirare.
Francesca Romano
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