Lo scorso 2 giugno a Napoli nella chiesa dell’Immacolata Concezione a Capodichino, proprio nel giorno del sessantaseiesimo anniversario della repubblica, una consistente parte degli italiani di Napoli e non solo, si è radunata intorno alla chiesa eretta con il denaro liberamente offerto dal popolo nel lontano 1855, per ringraziare l’Immacolata di aver salvato re Ferdinando II dall’attentato del Milano. Era infatti usanza che nel giorno dell’Immacolata, le truppe dell’esercito borbonico ascoltassero la messa al Campo di Marte per poi sfilare di fronte al Re che vi assisteva a cavallo. Quell’8 dicembre 1855 tuttavia, fu diverso dagli altri. Il De Sivo era convinto che in Inghilterra si sapesse già di quello che sarebbe accaduto a re Ferdinando, così come si sapeva a Genova. Quasi come una minaccia suonavano difatti le pagine del giornale londinese “Globe” e del giornale genovese “la Vespa” preannunciando che di lì a poco il re di Napoli sarebbe stato levato di mezzo e che qualcosa sarebbe cambiato. In Calabria sembrava aspettarsi solo il segnale ovvero la notizia della morte del sovrano per iniziare una rivolta. Tuttavia qualcosa non andò per il verso giusto. Fu il buonsenso del re e degli ufficiali ad evitare ulteriore spargimento di sangue. Una volta accusato il colpo infertogli con la baionetta inastata da un anonimo soldato del terzo battaglione Cacciatori che uscì improvvisamente dalla fila mentre marciava, il conte Francesco Latour tenente colonnello degli Ussari intervenne immobilizzando il soldato. Il sovrano impedì che l’attentatore fosse ucciso sul momento e quindi si provvide a trasportarlo velocemente altrove per evitare il panico “con una tale velocità che più di qualcuno non si accorse nemmeno dell’accaduto”. I soldati proseguirono così la loro sfilata e il popolo continuava ad acclamarli, lo stesso sovrano, ferito, continuò a marciare e portò a termine la sfilata informando la regina dell’accaduto solo in carrozza mentre erano di ritorno.
Nel ripercorrere la storia di Agesilao il De Sivo non nasconde un velo di accusa nei confronti dei tribunali napoletani. In effetti Agesilao, arbëreshë ventiseienne di San Benedetto Ullano, uno dei centri italo- albanesi presso Cosenza, non aveva un passato del tutto pulito. Dopo essere stato espulso per cattiva condotta dal Collegio Italo – Greco, prese parte ad una rivolta contro i sovrani nel ’48 ma beneficiò dell’amnistia del ’52 e sebbene avesse dichiarato di voler attentare alla vita del sovrano, fu rilasciato con la clausola di essere un sorvegliato speciale. In realtà gli fu permesso di sostituire il fratello sotto le armi dove a un certo punto gli si presentò l’occasione di attentare alla vita di Ferdinando. Il De Sivo ci dipinge Milano come un soldato di buona condotta ma come un tipo solitario, sulle sue rispetto ai compagni di battaglione, il primo nell’ora della libera uscita e l’ultimo al rientro. Dove si recava il Milano? Veramente era in giro per cercare notizie della sua famiglia lontana come dichiarava? D’altra parte il De Sivo pur non dicendolo chiaramente lascia trasparire un po’ di scetticismo. Dal Dizionario Biografico degli Italiani apprendiamo che il padre di Agesilao, un certo Benedetto, era affiliato alla carboneria con la quale la famiglia presumibilmente non ha mai perso i contatti. Non si poté verificare tuttavia la possibile rete dei mandanti del Milano in quanto il processo si svolse frettolosamente e in condizioni non del tutto trasparenti ad opera del Nunziante, del commissario Bertini e dell’aiutante maggiore Pianelli nominato presidente del consiglio di guerra, tutti personaggi che di lì a poco disertarono o tradirono la fedeltà alla dinastia borbonica. La famiglia del Milano poi, non doveva essere l’unica famiglia arbëreshë affiliata o almeno simpatizzante della carboneria. Non deve essere nemmeno un caso, forse, che molti degli arbëreshë di Calabria si unirono qualche anno dopo, ai garibaldini. Se non altro il Milano fu coerente fino alla fine. Rifiutò la difesa del suo avvocato che lo voleva far passare per “folle”. “Folle sarai tu, io determinatamente operai!”. Il 13 dicembre del 1856, Agesilao fu quindi impiccato fuori porta Capuana accompagnato dal suo stesso battaglione. Re Ferdinando morì tre anni dopo, con molta probabilità a causa delle complicanze della ferita la cui importanza fu troppo trascurata. Mai il sovrano ebbe parole di accusa contro il suo attentatore che tentò anche di graziare dimostrando ai sudditi ciò che avrebbe dimostrato qualsiasi sovrano che intimamente si professava cattolico ovvero che il re ha il dovere di sforzarsi di essere il primo umile esecutore della legge per eccellenza, il Vangelo.
Francesca Romano
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