“Voglio scriverti una poesia come dedica dietro questa cartolina, scegli tu il tema” mi disse un giorno un signore che così si guadagnava da vivere nel cuore dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie. Anche in questo modo la nostra gente riesce sopravvivere. “Fammene una su Napoli” gli risposi per vedere cosa pensava quel rapsodo di oggi che già  guardavo come si guarda ad una delle voci  che in maniera più genuina riassumono l’anima più profonda di questa città. Ciò che uscì fuori da quelle righe fu un elogio alla squadra azzurra, alla Napoli Campione. Quel signore che sapeva tutto di Piazza Plebiscito e dei Borbone aveva come motivo di orgoglio e di gioia la squadra del Napoli. Pur avendomi spiegato bene la storia sulla quale era molto preparato, in quella poesia non mi ha parlato degli antichi Greci, né della Sibilla Cumana, né degli antichi Romani, né degli Angioni, né degli Aragonesi, né dei Borbone. Napoli non era nulla di tutta la sua storia. Napoli non era san Gennaro, né San Giuseppe Moscati. Napoli non erano gli emigranti, non era il mare, né il Vesuvio, non era la canzone napoletana, non erano i film del neorealismo, non era Sofia Loren e nemmeno Totò. La poesia era inoltre scritta in italiano. Di cosa avrebbe dovuto parlarmi d’altra parte quel signore, di un repertorio che non sentiva suo? O peggio ancora della politica? Forse un tempo la dinastia borbonica e la religione cattolica amate dal popolo erano i simboli viventi e pulsanti di un’identità forte difesa da eserciti di giovani soldati volontari, fieri di essere ciò che erano. Oggi cosa è rimasto di tutto questo? Possiamo affermare con certezza che la politica senza dubbio non ha sostituito nella mentalità popolare ciò che invece era il sovrano. Demagogia e consumismo per troppo tempo hanno cercato di sostituire patria e religione creando un forte senso di vuoto e disorientamento identitario. Il risultato è che non è la destra, né la sinistra, non sono i politici in genere a rappresentare il popolo. C’è però il Napoli, ci sono i calciatori, osannati come veri e propri salvatori della patria se non come piccole divinità, o, nella migliore delle ipotesi, quasi come fossero soldati che lottano contro un nemico usurpatore. Negli stadi più che nelle urne i cittadini si sentono liberi di esprimere la loro sovranità o meglio, solo negli stadi ci è stato sapientemente concesso questo spazio. Se così non fosse d’altra parte il malcontento potrebbe facilmente sfociare in reazioni violente e in ogni caso sbagliate, questo chi ci gestisce lo sa bene. Se esaminiamo la questione da un tal punto di vista potremmo quindi affermare che, con i vari distinguo, ciò che i tifosi decretano nelle partite ha lo stesso peso dei referendum. Se tutto uno stadio si ribella alle note di “Fratelli d’Italia” significa che sicuramente qualcosa non va . Cos’è che non va? Nei cittadini dell’ex Regno delle Due Sicilie dall’unità ad oggi c’è una sorta di mal disposizione latente verso le istituzioni e verso i simboli di un’Italia debole e indebitata che non ha saputo dimostrare finora di fare gli interessi della collettività. C’è una mal disposizione verso questo stato basato su un sistema nord centrico somma degli interessi di pochi e non su un’istituzione basata su un patriottico e fraterno gesto di carità istituzionale che dovrebbe trarre le sue origini dal cristianesimo. Quest’Italia che dovrebbe fare del Sud la zona di traino economico lo tratta invece come un peso, come un pezzo morto quasi da amputare e non come una risorsa. Qualche personaggio della cultura e della politica si è indignato alle grida di disapprovazione verso l’inno di Mameli da parte dei napoletani. Ci sono invece napoletani che s’indignano di come non si riesca o non si voglia vedere cosa c’è dietro quelle grida di disapprovazione. Quante volte si sono indignati i napoletani a Terzigno o a Pompei per citare i casi più famosi? La disapprovazione dei napoletani verso l’inno non è certo paragonabile a quella dei Padani impegnati per ora in tutt’altro genere di faccende. La disapprovazione dei Padani è quella di alcuni cittadini che una volta raggiunta una condizione economica ottimale, utilizzando machiavellicamente ogni metodo in loro potere, dimostrano il loro profondo amore regionale o personale rinnegando ogni legame con tutto ciò che padano non è. La disapprovazione dei napoletani verso l’inno è il dramma di un popolo a cui è stata strappata la propria capitale reale e la sua vera identità e che è costretto a rifugiarsi in una riduttiva e virtuale identità calcistica. Dovremmo sempre ricordarci invece di chi eravamo e di chi ancora, nel profondo, siamo. Faremmo un torto a noi stessi, alla nostra patria, alla nostra storia, alla nostra identità se ci accontentassimo della Napoli Campione. Riprendiamoci la nostra capitale!
Francesca Romano