Non passa giorno che l’emerito Presidente di questa repubblica non faccia udire la propria voce anzi il monito,  dando l’impressione di aver ascoltato  sermoni e omelie più di quanti  ne possano pronunziare pastori e preti messi insieme. Penso che ci vorrebbe una par condicio, proprio come diceva   uno dei suoi predecessori che pronunziava la – r – in modo bleso.  Capisco che egli voglia cementare l’unione fra i popoli italici altrimenti non potrebbe essere presidente di tutti gl’italiani.  L’altro ieri ha ritenuto opportuno trattare la storia recente di questo infelice paese ed ha richiamato quella che va sotto il nome di strage di Marzabotto sulla quale non desidero esprimere qualsivoglia opinione.
Da inguaribile napoletano e memore del passato mi sono ricordato che il mio meridione d’Italia ha subito  nel recente passato stragi e distruzioni che passano sotto silenzio.  Ricordarne qualche una avrebbe contribuito a rendere meno spigolosa la convivenza fra noi italiani.  Ritengo che sia più giusto ricordare le vittime siano esse più lontane  o più vicine nella memoria.
Una strage dimenticata desidero riscoprirla e togliere da essa la polvere dell’oblio che l’ha coperta, il riferimento è la distruzione di Auletta e l’assassinio di una parte degli abitanti  avvenuta  nell’anno  1861. In molti non  hanno mai sentito nominare questo paesino che è posto sulla riva sinistra del fiume Tanagro,  ha origini antichissime risalenti al tempo di Enea.  Di natura gli abitanti di quel piccolo paesino sono ed erano di indole pacifica dediti  alla terra e al pascolo.  La loro esistenza ruotava intorno al lavorio monotono e nelle lunghe sere sia invernali che estive trovavano piacere nell’oziare fuori dalle loro case oppure al caldo fuoco del camino.  La popolazione era cattolica ed ubbidiente ai precetti impartiti da sacerdoti che su di essi esercitavano sia la guida spirituale che materiale.  Gli avvenimenti di quell’anno ruppero la serenità del paese era inspiegabile che il re Francesco  fosse stato tradito dai suoi generali ed avesse preso la via dell’esilio.  Il re era da essi considerato il  tata o padre a cui i figli si rivolgevano per avere giustizia  per piccoli dissidi che capitavano.  Un nuovo corso politico sorgeva e distruggeva modi di vita ancestrali.  A pochi chilometri da quel posto di pace si riorganizzavano in bande coloro i quali volevano il ritorno del re spodestato.  Auletta aprì ad essi  le porte e fraternizzo sollevando dalla polvere i gigli del Borbone.  La notizia si propagò in breve e giunse nell’ex capitale del regno.  Fu approntato un battaglione di bersaglieri che a marce forzate si spinse fino al paese ribelle.  Si organizzarono le terribili bande degli ungheresi  tristementi  noti  per le nefandezze che avevano commesso al seguito di Garibaldi.  I pochi realisti che erano ad Auletta optarono di non opporre resistenza paventando  la presa del paese e le immaginabili conseguenze. Armati si diressero nei boschi e non furono raggiunti dai piemontesi che facilmente occuparono il territorio incendiando le prime case.  I sacerdoti del luogo furono le prime vittime,  spinti dalle baionette furono fatti inginocchiare sul sagrato della chiesa, percossi e infine fucilati. Dalle case furono spinti fuori gli atterriti abitanti,  giovani vecchi donne e bambini furono massacrati e non opposero resistenza,  un tale nell’atto di difendere la propria famiglia fu spinto all’interno della chiesa e lì sgozzato. Alla fine della spedizione punitiva si contarono 50 morti fra la popolazione, mentre più di un centinaio incatenati con gli schiavettoni  a piedi e dileggiati raggiunsero Salerno per essere processati.  Gli eccidi perpetrati  ad Auletta ebbero eclatante eco in parlamento e il d’Azeglio si domandava se era lecito prendere ad archibusate quelli che non volevano essere fratelli d’Italia.  A quei martiri senza nome nessuno ha tributato onore sono solo spariti nel gran libro della storia.
 
Napoli 07/10/2011                                                                                                     Felice Abbondante