La Ballata del Carcere di Reading, di Oscar Wilde (traduzione italiana di Lorenzo Terzi) con Luigi Iacuzio. SINOSSI. “E tutti gli uomini uccidono la cosa che amano, / da tutti questo sia udito, / alcuni lo fanno con uno sguardo amaro, / altri con una parola che lusinga, / il codardo lo fa con un bacio, / l’uomo coraggioso con una spada”.
Questa sconvolgente riflessione sull’amore, affidata allo spazio di una breve strofa, funge da ritornello alla Ballata del Carcere di Reading, il poemetto che Oscar Wilde scrisse dopo aver scontato la condanna a due anni con i lavori forzati, a lui inflitta dalla giustizia britannica per la sua condotta gravemente “immorale”.
Pochi mesi dopo il travolgente successo della sua ultima e più brillante commedia, The importance of being Earnest, Wilde passava – così – dallo splendore delle ribalte teatrali e dei successi mondani al punto più basso dell’infamia e del disonore, con grande soddisfazione dei benpensanti.
I toni leggeri, a volte gradevolmente cinici dei suoi lavori per il teatro, dei racconti, dei saggi geniali sulla critica come forma d’arte, cedevano anch’esse il posto alla tragica riflessione su temi di abissale profondità, svolti nella forma poetica di una ballata, il cui metro imita lo strascinare dei passi dei condannati che, nel cortile della prigione, marciano uno dietro l’altro, “testa rasata e piedi di piombo”, come in una “Parata dei Folli”.
Il culmine del dramma, nel poemetto, è raggiunto nel momento in cui viene suggerita in un crescendo di angoscia l’impiccagione, realmente avvenuta a Reading mentre Wilde vi era prigioniero, di un soldato reo di aver assassinato la moglie per motivi di gelosia.
Proprio la riflessione sulla colpa, e specialmente sulla colpa legata all’amore, suggerisce gli accenti più autentici e più struggenti della Ballata: la pietà riscatta la colpa stessa e il sangue versato: “e la macchia cremisi che fu di Caino / divenne il sigillo di Cristo bianco come neve”.
La messa in scena si propone di esaltare l’essenzialità poetica e la tensione morale della Ballata: la lettura del poemetto wildiano è affidata all’attore teatrale, cinematografico e televisivo Luigi Iacuzio, capace di “far vedere” agli spettatori, servendosi della sola voce e di una gestualità composta ma di enorme impatto emotivo, ambienti e personaggi che non compaiono materialmente in scena.
Con la lettura dei versi si intreccia o contrasta l’elemento musicale che con singolare efficacia, accompagna la voce di Luigi Iacuzio nello scolpire le parole di Wilde.
Lorenzo Terzi
NOTE DI REGIA
La musica come contrappunto ad una voce sola, a tratti narrante come radiocronaca di un fatto ordinario (in molti paesi ancora), a tratti invece come strumento per veicolare il pensiero dell’autore.
Cosa può provare un uomo che sa di dover morire?
Cosa prova il boia che sa di dover uccidere?
Cosa sente chi sa andare oltre ciò che appare?
Come può la società chiudere gli occhi di fronte ad un evento tale?
Uccidere volontariamente un uomo che ha ucciso la cosa che amava… “…eppure non ogni uomo ne muore”.
La voce come melodia. Le note musicali come voci assonanti e dissonanti. Il pensiero come il tempo senza tempo, continuo ed infinito.
Gisella Secreti
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