Tullio Pironti, editore e libraio si racconta: libri, pugilato, donne e misteri in una autobiografia d’eccezione.
Cinquanta anni a Napoli, al dopoguerra al dopo-Bassolino…. “Born under punches” (nato sotto i pugni) è un efficace definizione in slang newyorchese con cui si indica una persona temprata dalle difficoltà ed è anche una delle più conosciute canzoni dei Talking Heads.
Crediamo che questa frase si adatti perfettamente a Tullio Pironti, editore e libraio napoletano, classe 1937 ed ex pugile (cinquanta incontri sostenuti come welter leggero, anche nella nazionale italiana), che ha presentato la sua autobiografia “Il Paradiso al primo piano” il cui titolo cita il verso di una canzone di Fabrizio de Andrè (“Via del Campo”) cinque aani dopo il fortunato “Libri e cazzotti” tradotto negli Stati Uniti come “Books and Rough Business” dalla Red Hen Press di Los Angeles.
Pironti ha iniziato l’attività editoriale nel 1972 ed è anche più di un figlio d’arte, infatti ha proseguito l’attività del padre e del nonno; e da parte sua ha fatto tradurre e conoscere per primo in Italia autori stranieri divenuti poi celebratissimi come Don DeLillo, Bret Easton Ellis, Raymond Carver, il Premio Nobel egiziano Naghib Mahfuz.
Molto conosciuti inoltre, i suoi libri-reportage come quello a firma di Richard Hammer, sulla controversa e misteriosa morte Papa Luciani. Fra gli autori italiani l’editore di Piazza Dante può vantare Domenico Carratelli, Giuseppe Marrazzo, dal cui libro “Il camorrista” su Raffaele Cutolo venne tratto l’omonimo film di Giuseppe Tornatore e la recentemente scomparsa Fernanda Pivano.
La sua autobiografia ha il merito di non essere un libro autocelebrativo che si legge, si ripone e si dimentica subito, ma un lavoro in cui sembra di ascoltare la voce dell’autore mentre il suo respiro diventa affannoso, mentre quasi incespica nelle parole, perde il filo e lo ritrova a causa dell’eccitazione di aver scritto qualcosa che lo meraviglia e che sa un po’ follia e un po’ di coraggio.
Perché ci vuole coraggio a raccontare una vita come senza tacere errori e dolori.
Poi, dopo qualche pagina va avanti sempre più spedito, sempre più agile nel saltare da un episodio a un altro, in apparenza scollegato, senza rispettare quei criteri di unità del tempo e di spazio che tanto piacciono alle persone senza fantasia.
Lui si può permettere divagazioni e confidenze, per poi riprendere il filo principale della sua storia e delle storie che racconta.
Nel suo libro sfilano i bizzarri ricordi di un ragazzo cresciuto nel dopoguerra e in seguito scrittori ed attori, luoghi e suggestioni evocate, tra le altre, dalla Cappella Sansevero e il Vesuvio.
Ma il tratto distintivo delle vicende narrate spetta sicuramente alla dolcezza ed alla violenza del suo primo amore giunto a diciotto anni per una donna, Rosaria, conosciuta in una “casa chiusa” nei pressi di via Mezzocannone, dei primi successi come pugile, di come è riuscito a liberarsi dal vizio del poker dei successi come editore e di grandi occasioni mancate.
Ma Pironti è un osservatore attento e poco diplomatico, che non mancato di descrivere tutta la sua delusione per il vagheggiato e mai nato “Rinascimento” napoletano da parte di una classe politica incapace quando non corrotta e per gli umilianti giorni di “Monnezzopoli” (come il titolo di un libro di successo edito da lui).
In un intervista concessa a Giancarlo Dotto, non infatti mancato di affermare che il Rinascimento della città “è finito nella discarica, come tutto il resto. Napoli è una città a vocazione turistica, unica al mondo, che invece mette in fuga la gente”.
Molte storie trasversali, di cui non riveliamo i particolari, sono presenti nel suo “Paradiso al primo piano”, come quella del suo viaggio in Sicilia deciso all’indomani della strage di Capaci e una rivelazione relativa alle ragioni del suicidio del grande matematico napoletano Renato Caccioppoli.
Concludendo: prendete Napoli. Prendete gli ultimi cinquant’anni della sua storia e resterete affascinati di questo libro.
E Napoli deve davvero molto all’uomo di Piazza Dante, il quale, nonostante scriva che “adesso so cosa significa vincere, perdere. Ci ho messo una vita a capire che non significa niente”, siamo sicuri che durante le giornate della bella stagione, fra le pause del suo lavoro, dopo le interminabili partite a scacchi che conduce e dopo qualche momento passato ad assaporare il sole come un gatto, appoggiato all’entrata della sua libreria, vedrà, oltre i suoi libri, ancora un ring, l’ombra dei suoi movimenti sul muro di una palestra e deciderà che ci sono altri fogli bianchi da riempire.
Perché Tullio Pironti è ancora un boxeur che si allena guardando la propria ombra (“shadowboxing”, un altro bellissimo termine americano) e con quella lasciata dai tanti ricordi e dai sogni lungo le strade della vita.
di Carmine Pescatore
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