Tempo di mondiali e tra centinaia di tricolori spunta qualche bandiera argentina sui balconi della città. Non è un gesto di tradimento perché Napoli non sarà mai capace di esultare per un goal del Paraguay come accade ad altre latitudini, e l’affetto per la Nazionale italiana non è in discussione. Ma i Napoletani hanno una sola Nazionale: il Napoli. Poi, quando quella si ferma, c’è spazio per l’altro azzurro, ma anche per la schiettezza di dichiarare la simpatia per la selezione argentina.
Spiegare il perché sarebbe semplice chiamando in causa Diego Maradona che in questi mondiali sudafricani è tornato protagonista alla guida tecnica della “albiceleste”. La sfida del “pibe de oro” non è alle altre nazionali ma soprattutto ai vertici del calcio mondiale, a quel Blatter che tanto male gli ha procurato in passato, ai “cardinali” Platini e Pelè, sempre pronti a sparare a zero sull’argentino.
I Napoletani questa sfida la avvertono sulla pelle e la sentono propria, riaccesi nell’orgoglio da quel messaggio che Diego ha inviato due settimane fa nel quale ha ricordato al popolo partenopeo che insieme si è fatto “tutto contro tutti, qualcosa che nessuno può cancellare”. Le vittorie contro il potere calcistico-economico del nord, le rivincite sul piano sportivo alle platee settentrionali sempre pronte a ricoprire di razzismo i tifosi azzurri, lo scudetto che per la prima volta scende al sud come mai prima e dopo di allora, le ritorsioni subite ai mondiali italiani del ’90 anche per questo, e poi ancora ai mondiali del ‘94. Tutto questo era nello stringato messaggio che si concludeva così: “sarò sempre lo stesso Diego il Napoletano”.
Il legame con gli argentini non è solo cristallizzato nella figura di Maradona ma si manifesta anche in altri argentini che a Napoli hanno trovato una seconda casa quando non la prima. Il “petisso” Pesaola, argentino di casa qui da quando ci ha messo piede, non a Firenze o Bologna; il “Pampa” Sosa, ora oltreoceano ma che qui ha lasciato il cuore, non a Udine. E tanti altri, anche avversari, che quando mettono piede al San Paolo ne subiscono il fascino più che in altri stadi d’Italia.
La simpatia Napoletana per l’Argentina non è affatto qualcosa di ridicolo e tantomeno qualcosa di cui vergognarsi. Sostenerla non significa automaticamente gufare l’Italia, anche se in qualche occasione qualcuno ha condannato i Napoletani per questo. E del resto lo spirito patriottico in Italia non è mai stato così pronunciato, tantomeno a Napoli, città per la quale cause antropologiche e storiche hanno codificato il DNA dell’appassionato calciofilo.
C’è una vasta schiera di Napoletani meridionalisti che l’occhio di riguardo per l’Argentina l’hanno per autoconsapevolezza della propria storia. Qui subentra un sentimento di tenera gratitudine verso un paese amico e ospitale. L’emigrazione meridionale che seguì alle vicende dell’unità d’Italia portò alla devastazione del tessuto sociale del Sud Italia, sino ad allora stabile. Milioni di meridionali furono sottoposti ad un’espulsione dalla propria terra da parte degli invasori del Piemonte, costretti ad espatriare per dar da mangiare alle proprie famiglie. Moltissimi si trasferirono in Argentina.
I “fratelli” d’Italia li cacciarono, l’Argentina li ospitò. Quel paese fu un nuovo meridione d’Italia dove si parlava napoletano, calabrese, siciliano; e gli argentini di oggi sono tutti figli o discendenti di famiglie napoletane e del sud.
Del resto basta leggere i cognomi dei nazionali argentini: Bolatti, Di Maria, Demichelis, Burdisso, Mascherano, Palermo, Milito, Pastore, Messi. Tutti cognomi italici, tutti calciatori con antenati italiani dell’antico Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio.
L’emigrazione fu un trauma per il nostro territorio che fu consegnato alla delinquenza come unica risorsa di sopravvivenza. Quando ad una famiglia viene a mancare il padre, si sa, è lo sfascio. E così fu il Sud, un insieme di famiglie senza padre, un territorio matriarcale: le madri “coprirono” i figli che, mentre i padri erano via, si dedicavano alla malavita.
L’emigrazione, dopo 150 anni, ancora non si arresta con il governo centrale di Roma che aumenta i posti statali al nord e li taglia al sud, convogliando strategicamente i meridionali verso il settentrione con il medesimo risultato di 150 anni fa: un territorio depresso e in cerca di “espedienti”.
Si dirà “ma il calcio è un’altra storia”. Sbagliato! La nazionale è espressione storica della nazione. Veste il blu di casa Savoia che nasconde il rosso sangue dei meridionali. Si raduna, e non è un caso in un periodo di celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, a Venaria Reale, antica residenza sabauda. Il suo capitano annuncia devoluzione di eventuali premi al comitato per le celebrazioni, soldi che prenderebbero la via di Torino laddove già girano grandi somme di danaro per tale causa mentre a Napoli, che fu la città sulle cui ricchezze si cospirò l’unificazione, non si vedono neanche le briciole. Il suo C.T. sale sul palco di Sanremo per sponsorizzare Emanuele Filiberto di Savoia, per poi assemblare una nazionale marcatamente juventina, quindi torinese, nonostante le brutte figure della squadra bianconera in campionato.
In tutto questo ragionamento che sembra troppo grande per il tifoso più disinteressato c’è in realtà il motivo intrinseco del mancato amore per Nazionale italiana. Ma poi si sa, di fronte al trionfo, tutti sono pronti a far festa, Napoli in testa. E poi il giorno dopo tutti gli italiani per la propria strada, come sempre.
Maradona e Gianni Minà lanciano messaggi ai Napoletani
http://www.youtube.com/watch?v=AJcJ8wNO89s
Un argentino-napoletano
http://www.youtube.com/watch?v=P5MZB2zfRaA