I leader politici, anche nelle massime istituzioni, avvertono sensibilmente il grido di intolleranza che sale dal Mezzogiorno in vista dei 150 anni della sua colonizzazione italo-piemontese. Riportiamo tre interventi assai eloquenti, rispettivamente di Berlusconi, Tremonti e Rutelli, tutti diretti contro la retorica risorgimentale.
Berlusconi
Il 9 settembre 2009 il Presidente del Consiglio in carica ha sorpreso tutti, quando alla kermesse della Giovane Italia, alla festa di Atreju, ha citato un libro su argomenti assai imbarazzanti per il potere. Berlusconi voleva solo dare consigli di lettura alla folta folla che, insieme al ministro Chiara Moroni, lo ascoltava a bocca aperta. Il primo, è ‘Risorgimento da riscrivere’, di Angela Pellicciari, “appassionata di storiografia dell’Ottocento, collaboratrice di Radio Maria e docente di storia e filosofia. La tesi che sostiene la Pellicciari, è che l’Unità d’Italia è stata ottenuta a spese della Chiesa. Per citarla: il processo storico di unificazione dal 1848 al ‘61 si è svolto contestualmente a una vera e propria guerra di religione condotta nel Parlamento di Torino – dove tra i liberali siedono i massoni – contro la Chiesa cattolica. I liberali aboliscono tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Stato, spogliano di ogni avere le 57.492 persone che li compongono, sopprimono le 24.166 opere pie, lasciano più di 100 diocesi senza vescovo, impongono al clero l’obbligo di cantare il Te Deum per l’ordine morale raggiunto, vietano la pubblicazione delle encicliche pontificie, pretendono siano loro somministrati i sacramenti nonostante la scomunica, e, come se nulla fosse, si proclamano cattolici“. E’ in fondo una tesi non originalissima, quella del complotto massonico ai danni della povera Chiesa, storiograficamente parlando; ma ha sempre il suo fascino, specialmente tra i fondamentalisti. E’ assai significativo che Berlusconi prenda tale posizione durante le celebrazioni nazionali per i 150 dell’unificazione, volute fortemente dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con largo impiego di risorse pubbliche.
Tremonti
Al convegno dei giovani industriali a Capri del 31 ottobre 2009, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha affermato. “La questione del meridione è una questione nazionale. Non possiamo accettare – ha detto – che il Paese si divida per una crescente dualità”. “Noi abbiamo un debito con i meridionali, è ora di rifletterci tutti insieme, ma non con gli ascari politici che fanno del meridionalismo una professione distruttiva”. L’unificazione d’Italia compiuta con le baionette dall’esercito sabaudo “non e’ stata un’operazione totalmente positiva come abbiamo imparato sui libri di storia”: a dirlo non e’ uno studioso “revisionista”, ma un ministro dello stato, dopo aver riconosciuto l’esistenza di una copiosa “letteratura minore” che racconta l’unita’ d’Italia vista dall’altra parte, quella degli “sconfitti”.
Il ministro si e’ soffermato sullo choc che rappresentò nel 1860 l’annessione del Regno delle Due Sicilie, con “la trasformazione di colpo, in un giorno solo, di Napoli da grande capitale europea in prefettura sabauda. Quanto capitale e’ stato annichilito, distrutto, quale impatto – si e’ chiesto Tremonti – ha avuto sulla borghesia napoletana? Ha distrutto una quota enorme di capitale umano”. E’ da allora, ha ricordato il ministro, che cominciano le grandi migrazioni dei meridionali che si fanno prima proletari d’America e successivamente, con l’industrializzazione italiana, diventeranno i proletari nel nord del Paese. “Noi dobbiamo al meridione. Abbiamo un debito e credo – ha sottolineato il ministro – sia arrivato il momento di rifletterci seriamente insieme, non in modo convenzionale, non con gli ascari politici che del meridionalismo fanno una professione distruttiva. Credo che tutti insieme dobbiamo ragionare in modo diverso da come e’ stato fin’ora”.
RUTELLI
Il 7 novembre 2009 Rutelli ha voluto far sentire una voce di diversa angolatura, Il problema del Mezzogiorno, ha detto sulla linea di Tremonti, è un problema nazionale perché lo stato ha un debito contratto centosessanta anni fa con il Sud dopo averlo economicamente spogliato. Pochi sanno che la divisione che ancora oggi produce il miglior margine di contribuzione per il Gruppo San Paolo è il Banco di Napoli, sostanzialmente svenduto, chissà perché, alla cordata Bnl Ina per 60 miliardi di vecchie lire dal ministero del tesoro e dalla Fondazione Banco Napoli e rivenduto per seimila miliardi di lire al San Paolo di Torino. La sola sede centrale di via Toledo a Napoli valeva più di 60 miliardi di lire. Ultima fase della spoliazione iniziata con Cavour proprio con le banche del Sud. Per non parlare della chiusura nel 1863 di attività industriali di stato borbonico.
Una maggiore incidenza della Lega nella politica italiana diventerebbe territorialmente devastante, indipendentemente dalla bonarietà delle ammissioni di Calderoli sul debito del Nord verso il Sud rese a Lucia Annunziata.
Com’è possibile che i parrucconi attaccati alle cattedre universitarie continuino a parlare dei risorgimento come un secolo fa quando la revisione era imbavagliata e perseguitata?
fonte www.neoborbonici.it
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