GAETA, QUEI PICCOLI EROI DIMENTICATI
E’ di altissimo valore l’eroismo di quella che fu l’estrema resistenza in difesa dell’antica Civiltà meridionale, condannata a morte ed assediata da terra e da mare dal “nuovo” che avanzava. Nel 1861 a Gaeta si compì l’ultimo atto d’amore e d’onore di un mondo che, insieme alla Sacra Bandiera gigliata degli antichi Padri, fu ucciso e seppellito nell’oblio. Gaeta è il luogo dove si compirono vicende di un insuperabile valore militare ed umano, una terra posta tra mare e cielo eletta da Dio quale simbolo per tramandare alle generazioni future un messaggio di speranza e di giustizia che nemmeno i cannoni rigati dei peggiori criminali di guerra sono riusciti a sconfiggere né a cancellare dal cuore di milioni di meridionali sparsi in tutto il mondo. Ma a Gaeta vollero e seppero difendere la Patria napolitana anche dei giovanissimi eroi: i cadetti dell’antica e gloriosa Scuola Militare Nunziatella. Preparati nelle arti militari come nessun altro al mondo e forgiati indelebilmente nell’etica cavalleresca dell’onore militare, quei giovanissimi “soldati” con il loro estremo sacrificio resero ancora più grande quella incredibile resistenza, fregiando la loro Scuola Militare di una gloria senza precedenti.
A loro in particolare è dedicata la toccante e partecipata celebrazione sui bastioni della Batteria Transilvania alla Montagna Spaccata, è in loro onore e nel ricordo di chi intrise col proprio sangue le “Sacre Torri di Gaeta” che ogni anno, a febbraio, i Rappresentanti dell’Associazione ex Allievi della Nunziatella, stretti in un abbraccio affettuoso da tutti i convenuti, affidano al mare, tomba di quegli eroi, una corona di fiori canditi.
Cap. Alessandro Romano
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Dal numero dell’ 8 febbraio 1997 del quotidiano “Il Sud”.
Il 7 settembre 1860 alla Nunziatella regnava una grande agitazione: la notizia che il Re aveva raggiunto Gaeta e che l’esercito avrebbe tentato un’ultima difesa sulla linea del Volturno, nonostante i silenzi di molti ufficiali ed istruttori, era trapelata. Alcuni dei ragazzi decisero di fuggire dal collegio per raggiungere il loro Re e per poter partecipare all’ultima difesa.
I loro nomi non possono essere dimenticati, perché rappresentano sentimenti e valori che non hanno confini: il loro esempio sarebbe stato di grande aiuto al popolo meridionale, molto più che il ricordo di Garibaldi e di Cavour. Noi non possiamo ricordare come eroi positivi solo quelli che, venuti da fuori, ci avrebbero “liberato”.
Furono invece cancellati dalla storia.
I due fratelli Antonio ed Eduardo Rossi, 17 e 14 anni, erano figli di un ufficiale morto nella campagna di Sicilia del 1848. Un giornalista francese presente a Gaeta durante l’assedio li ricorda così: “Ho incontrato stasera su una batteria un sottotenente di 15 o 16 anni che serviva ai pezzi con due soli uomini per quattro cannoni, caricando, puntando e tirando con rabbia. Questo bravo ragazzo si chiama Rossi ed ha un fratello che, come lui, si è distinto durante l’assedio”.
Eliezer Nicoletti, 17 anni, figlio del maggiore di fanteria che sbaragliò i garibaldini di Pilade Bronzetti alla battaglia del Volturno, Ludovico Manzi, 17 anni, Ferdinando de Liguoro, figlio del colonnello comandante il 9° Puglia, reggimento da lui condotto da Capua a Napoli con i garibaldini ormai padroni della città. Dopo la resa fu come gli altri vessato e maltrattato.
Non riconosciuti a questi ragazzi nemmeno i gradi acquisiti sotto il loro legittimo Re.
De Liguoro emigrò in Austria, dove fu ammesso nell’esercito e combatté anche a Custoza contro i piemontesi nel 1866.
Alfonso Scotti Douglas, 11 anni, il più giovane di questi ragazzi, figlio del generale di origine parmense Luigi, fu adibito ai lavori del genio nella piazza di Capua.
Carmine Ribas, 18 anni, che raggiunse l’anziano padre di stanza a Gaeta, fu anch’egli adibito ai lavori del genio nella piazza di Capua.
Francesco e Felice Afan de Riviera, 17 e 16 anni, figli del generale Gaetano, raggiunsero i fratelli maggiori che combattevano a Capua. Anch’essi dopo Gaeta emigrarono in Austria e Felice abbracciò in seguito la vita religiosa entrando in convento a Napoli, dove morì nel 1924.
Francesco Pons de Leon, 18 anni, raggiunse il padre, maggiore in servizio nella piazza di Gaeta e operò lui pure come semplice servente ai pezzi di una batteria.
Ferdinando Ruiz, 17 anni, nipote del generale Vial, fra mille peripezie riuscì ad arrivare a Gaeta solo nel gennaio 1861. Ferdinando e Manfredi Lanza, 17 e 16 anni, figli di un ufficiale del genio, si comportarono da piccoli eroi a Gaeta e Ferdinando, l’ultimo giorno d’assedio, fu colpito da una granata che gli troncò di netto un piede.
Infine Carlo Giordano, 17 anni, orfano da pochi mesi del padre, generale napoletano. Fuggì dalla Nunziatella il 10 ottobre, dopo i suoi compagni. Durante l’assedio servì alla batteria Malpasso con abnegazione e coraggio, supplendo all’inesperienza con la forza della sua giovane età e con l’entusiasmo di chi difende la propria Patria da una vile aggressione.
L’11 febbraio 1861 iniziarono le trattative di resa della piazza di Gaeta. Il generale Cialdini preferì non interrompere il bombardamento, anzi lo intensificò perché, come scrisse a Cavour, naturalmente in francese, “le bombe fanno ragionare male e diminuiscono le condizioni richieste”.
Poche ore prima della firma della capitolazione, il 13 febbraio 1861, scoppiò con un tremendo boato il deposito di munizioni della batteria Transilvania, che travolse uomini e cose e distrusse la batteria servita da Carlo Giordano.
Fu l’ultima vittima di una inutile ferocia e di una assurda guerra civile. I suoi resti non furono mai trovati, ma il suo ricordo deve rimanere nei cuori dei meridionali perché il suo sacrificio non sia dimenticato.
Da nessuna parte, né a Gaeta né altrove esiste una lapide che ricordi questo ragazzo che, a torto o a ragione, considerò il Regno delle Due Sicilie la sua Patria.
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Quest’anno l’appuntamento “in Batteria” è per il 13 febbraio.
Segue Programma
XX CONVEGNO NAZIONALE
DELLA FEDELISSIMA CITTÀ DI GAETA
“Gaeta e il Sud a 150 anni”
“dalla fine del Regno delle Due Sicilie”
11, 12, 13 febbraio 2011
Programma
Venerdì 11 febbraio
Ore 17.00
Museo del Centro Storico Gaeta, via Annunziata n. 7, inaugurazione mostra sull’esercito napoletano;
presentazione-medaglia celebrativa del Comune di Gaeta.
Ore 18.00
Presentazione del libro di Aldo Vella “Gaeta, il fuoco e la polvere”.
Sabato 12 febbraio
Ore 10.30
“Ritornano i Borbone: la vita e la festa a Gaeta ai tempi del Regno”: dalla Chiesa degli Scalzi alla Porta Carlo III, corteo storico (i Re e la Regina, i soldati e le armi, il popolo e le musiche).
Ore 12.00
Riapertura simbolica della Porta Carlo III a cura del sindaco Raimondi;
inaugurazione della Mostra “Gaeta, ultimo atto” presso l’Hotel Serapo.
Ore 15.00
Hotel Serapo
Convegno di Studi con la partecipazione del Sindaco di Gaeta, Antonio Raimondi, del presidente CCIAA Latina, Enzo Zottola, del Segretario Generale-Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, S. E. Giuseppe Balboni Acqua, moderatrice Marina Campanile (Fondazione Vanvitelli), interventi di Sevi Scafetta (organizzatore), Giuseppe Catenacci (Ex Allievi Nunziatella), Gigi Di Fiore (Il Mattino), Giuseppe De Mattei (CNR Roma), Pierluigi Sanfelice di Bagnoli (Ordine Costantiniano), Gennaro De Crescenzo (Movimento Neoborbonico).
Ore 18.00
Conversazione a più voci con Pino Aprile, Lino Patruno, Ruggero Guarini, Lorenzo Del Boca, Eddy Napoli.
Presentazione del video di “Malaunità” a cura di Angelo Forgione.
Ore 21
Cena nei ristoranti convenzionati con menu storici.
Domenica 13 febbraio
Ore 10.00
Santuario della Santissima Annunziata, Messa solenne in memoria dei nostri caduti celebrata da S. E. Mons. Fabio Bernardo D’Onorio, Arcivescovo di Gaeta, con il Coro della Cattedrale.
Ore 12.00
Santissima Trinità alla Montagna Spaccata, Lancio in mare della corona di fiori in memoria dei nostri caduti, rievocazione con alzabandiera, spari a salve di cannoni e fucili a cura del Raggruppamento Storico Militare delle Armate di Terra e di Mare del Regno delle Due Sicilie di Alessandro Romano.
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Alberghi convenzionati:
Hotel Serapo 0771 450037
Gajeta 0771 45081
Flamingo 0771 470438
Ristoranti convenzionati:
Antico Vico
Antica Birreria dell’Arco
Ex Macelleria Ciccone
Il Follaro
La Cantinella Gaetana
la Garitta
La Taverna di Mino
Lupo di Mare
Masaniello
Trasparenze Di Vino
Ferdinando II
La madre Patria è al nord. Noi siamo una colonia.
di Antonio Perrucci
Diffusamente, in forme più o meno esplicite, molti media riportano dichiarazioni di politici, storici che invitano a considerare nel bene e nel male l’esistenza di una Patria che accomuna le varie parti d’Italia. Inutile recriminare su ciò che è stato, guardiamo al presente e ad un comune “prospero” futuro. Abbiamo una Patria e quindi teniamocela ben stretta, anche se questa Patria, quasi una madre snaturata presta poca attenzione ai suoi figli che hanno avuto la sventura di nascere oltre il Garigliano. Molto bene ha scritto Veneziani accusando di supponenza e infingardaggine la pletora di storici di regime incollati alle loro cattedre e che continuano a produrre senza mai sfiorare il nocciolo del problema. Questi storici di regime, hanno semplicemente interrotto la storia di una parte di questa Patria e hanno fatto sì che un Popolo, quello del Sud, si sentisse come portatore di un peccato originale. Da 150 anni siamo il fardello che pesa e rallenta lo sviluppo del Nord. Viviamo una storia negata, dove un Borbone viene considerato uno straniero dal quale conviene liberarsi per finire sotto un Savoia arciitaliano, anche se incapace di parlare la lingua di dante e valletto delle diplomazie anglo-francese. Meglio che niente, meglio piuttosto ed è così da troppo tempo. Promesse e mazzate. Scorre il tempo, cambiano i metodi ma non il risultato se, oggi leggo, che la disoccupazione al Sud ha raggiunto l’11%. E con gli inoccupati a quale percentuale si arriva? Il 25-30%? Naturalmente i figli del Sud obbligati ad emigrare non vengono conteggiati. Alle promesse di un “re galantuomo” e di un “fine tessitore” seguirono dieci anni di mazzate, allora la vita di un terrone lombrosianamente incasellato nella genia dei delinquenti abituali dipendeva dal capriccio di un caporale piemontese. I metodi di oggi, sono quelli che ad ogni approssimarsi di elezioni, cominciano a circolare sempre grazie all’egemonia che alcuni hanno sui media e alla collaborazione dei soliti ascari. Basterebbe leggere le dichiarazioni di ogni parte politica; Vendola passa dalla poesia alla “rivolta del Sud”, Fini novello messia parla del Sud come la sua terra promessa, Casini ha il mezzogiorno nel cuore e lo stesso dice il premier Berlusconi in un suo messaggio, Di Pietro pronto a scendere in piazza, Fitto novello Martin Lutero, affigge i suoi otto punti inaugurando la Fiera del Levante. Otto punti e 100 miliardi al Sud, programmati oggi, stanziati forse domani ma quanto alla effettiva erogazione…. Tutti sembrano aver dimenticato l’editto di Scaroni (amm. deleg. ENI) lanciato in quel di Cortina: “..non è conveniente investire al Sud, meglio al Nord o in altri Stati…” i terroni sono troppo assenteisti. E Moretti (amm. deleg. Ferrovie Italia), ci fa capire che: “ … nelle priorità della sua azienda il Sud non compare”.
La storia del Sud sembra cominciare il 5 maggio del 1860, il passato di un Popolo un tunnel affatto illuminato, e se apprendisti storici revisionisti, cultori e studiosi non cattedratici e quindi non titolari della “verità” si confrontano nella ricerca di quel filo che riannodi il filo interrotto della storia, se l’ottimo giornalista Aprile si cimenta con una cronaca particolareggiata e veritiera del “buio risorgimentale”, ben vengano i soloni della storia e che trovino il coraggio di un confronto sereno con quel passato fino ad oggi travisato. In cinque pagine di un suo libro, un ex PdR, Einaudi, in forma molto velata, ebbe l’ardire di accennare ad una larva della verità che è alla base dello sviluppo del Nord e della provocata “ questione meridionale”.-“ Peccammo, è vero di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio nazionale e ad assicurare alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. Noi riuscimmo così a far affluire dal Sud al Nord una enorme quantità di ricchezza” (Il Buongoverno pagg.147/151).
Eravamo nel 1878, in 18 anni le industrie del Sud erano state distrutte, non avremmo più esportato noi del Sud, le locomotive che Pietrarsa fabbricava e vendeva al Piemonte già nel 1843, eravamo diventati e ancora siamo il mercato del Nord.
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