Da qualche settimana su periodici e riviste più o meno specializzate (Panorama ed Espansione, tra gli altri), si sta affermando un tesi alquanto rivoluzionaria nell’ambito del cosiddetto “meridionalismo” della prima e dell’ultima ora: all’atto dell’unificazione italiana
non c’erano differenze economiche tra Nord e Sud. Il tutto parte, probabilmente, dagli attenti e scrupolosi studi di due ricercatori universitari, Vittorio Daniele  e Paolo Malanima, secondo i quali (come risulta in una loro pubblicazione del 2007), “non esisteva all’Unità d’Italia, una reale differenza Nord-Sud in termini di prodotto pro capite… Il divario economico fra le due grandi aree del paese in termini di prodotto sembra invece essere un fenomeno successivo e cominciò a manifestarsi dalla fine degli anni ’70 e negli anni ’80”. E la ricerca continua con abbondanti e oggettive citazioni di dati. E’ l’esatto contrario di quanto affermato da storici e meridionalisti vari da 150 a questa parte. Per un secolo e mezzo i nostri intellettuali ufficiali si sono affannati nella ricerca delle radici della nostra inferiorità prima economica e poi anche politica, culturale o addirittura etnica contribuendo in maniera decisiva alla creazione di un complesso di inferiorità dannosissimo e quanto mai attuale e alla costituzione di classi dirigenti subalterne e inadeguate e pronte a chinare il capo di fronte ai “salvatori” di turno venuti dal Nord. Ovvio che qualche “brillante” opinionista si sia mosso subito per invitarci ad evitare “nostalgie borboniche”. Ma qui non si tratta di nessuna nostalgia. Si tratta solo di riconoscere che avevamo ragione noi, che avevano ragione i neoborbonici. Del resto, a pochi mesi dalle celebrazioni dei 150 anni dell’unificazione, il nostro obiettivo era ed è questo: ritrovare la verità storica e con essa l’orgoglio dei Popoli delle Due Sicilie e portarli verso l’atteso e meritato riscatto.
 di Gennaro De Crescenzo