Altro che nostalgia. Il decennale della morte di Lucio Battisti (1943-1998) è stato testimoniato da Tv, stampa, Radio e Internet con una passione e una vitalità senza precedenti. Tutti gli interventi dei mass media sono stati, una volta tanto, improntati alla voglia di musica e al piacere di riascoltare le canzoni del miglior musicista italiano. Nessun programma ha annoiato. Ammirevole l’apporto di moltissime Radio che hanno compiuto autentiche maratone di 24 ore e dei newsgroup a lui dedicati sul web.Ma più di ogni altra cosa ed oltre ogni discorso è straordinario come le nuove generazioni conoscano canzoni di quarantanni fa come “Mi ritorni in mente”, “Fiori rosa, fiori di pesco”, “Acqua azzurra, acqua chiara”. Nessun artista italiano di quel periodo è oggi ricordato con tale intensità. Sono anni che si susseguono studi, spesso di rilievo, dedicati alla comprensione di un personaggio che nonostante il successo e la popolarità possiede ancora oggi diversi livelli di comprensione e che si lega con la forza della musica alla storia sociale dell’Italia. Molti i libri che hanno sondato e ricercato la formula di quell’alchimia che ha permesso a Battisti, prima con i testi di Mogol, poi con i suoi ed infine con quelli i Pasquale Panella, di assimilare e poi riunire la tradizione melodica italiana con generi a lei lontani come il Rhythm & Blues (“Emozioni”), il soul (“Anima Latina”), il rock progressivo (“Amore e non Amore”), la disco music (La Batteria, il Contrabbasso ecc.”), l’elettronica (“E Già”), la poesia sonora (da “Don Giovanni” ad “Hegel”). Impossibile dimenticare la grande musica che talvolta Battisti ha fornito alla Formula 3, a Mina, persino ad Adriano Pappalardo, anch’egli coinvolto dopo i successi degli anni Settanta in un esperimento   elettronico   come “Oh! Era Ora!” del 1980. L’unico appunto che si può muovere alle trasmissioni televisive dedicate alla ricorrenza è aver trascurato l’ultima produzione di Battisti legata agli estri bizzarri ed inesauribili di Pasquale Panella, che venuto a sostituire Mogol (Giulio Rapetti), lo ha fatto nell’unico modo possibile: incendiando la capacità compositiva del cantante reatino con testi completamente diversi da quelli di Mogol (“Le cose che pensano”, “Per altri motivi”, “La Metro”, “La voce del viso”). Fra i tanti (trop-pi?) libri su Battisti in scaf-fale ne vogliamo segnalare uno “Battisti. La vita, le canzoni, il mistero” a firma di Leo Turrini pubblicato recentemente dalla Mondadori eh ne ripercorre l’avventura artistica e umana facendone lo specchio delle cronache spensierate, difficili e intense e creative dell’Italia tra gli anni Sessanta e la fine degli anni Ottan ta. Sullo sfondo di un paese che cambia, si snoda il suo viaggio davvero unico. Da Poggio Bustone, nell’entroterra laziale, dove sin da bambino aveva coltivato la passione per la musica, alla California, dove nel 1977 tenne in un bar il suo ultimo, segreto concerto. Dai timori iniziali dell’aspirante chitarrista ai trionfi di una popolarità immensa, certificata da vendite vertiginose. Dalla smania di apparire sui palcoscenici del Cantagiro e del Festivalbar e di confrontarsi con figure mitiche dello show business nazionale e internazionale alla decisione di chiudersi in un rigido e misterioso anonimato, sottraendosi per sempre alle lusinghe della notorietà e ai meccanismi commerciali, in nome di una coerenza che nemmeno i tentativi di vecchi amici (fra i quali Adriano Celentano e Lucio Dalla) hanno saputo scalfire. Il libro tratta anche dell’unica, vera sconfitta della sua carriera: il fallito assalto ai vertici delle classifiche Usa con l’album in lingua inglese, “Images”, che contiene pezzi di “Io tu noi tutti” e di album precedenti e che verrà pubblicato anche in Italia. Il pubblico oltreoceano accoglie l’album con indifferenza: la RCA statunitense si era impegnata a promuovere l’album, ma in realtà non lo fece affatto. Altri verosimili motivi dell’insuccesso sono la non perfetta pronuncia inglese di Battisti e la difficoltà di rendere il significato dei testi in un altro idioma. Dopo una lunga malattia, forse motivo del suo progressivo allontanamento dalla vita pubblica, Lucio Battisti muore nell’ospedale San Paolo di Milano il 9 settembre 1998 all’età di 55 anni; ai funerali, celebratisi a Molteno (Lecco), dove è sepolto, furono ammesse appena 20 persone, tra le quali Mogol, a riconferma della ricomposizione almeno umana del sodalizio. La sua tomba, molto semplice, rimane una costante meta di riservati pellegrinaggi. Sappiamo che aveva scelto di vivere nascosto ai più ma non sappiamo se la decisione si estendesse a quella di morire senza l’affetto dei suoi amici. E’ una decisione che ci sembra forzata da elementi esterni e il dispiacere di immaginarlo in quelle condizioni non per sua volontà segue i pensieri di quanti lo hanno amato pur senza averlo mai conosciuto. Essere considerato “la colonna sonora di un’epoca” lo irritava, ma proprio in questo luogo comune, che non rende giustizia alla complessità dell’artista, risiede una verità indiscutibile e largamente condivisa. Battisti ci ha raccontato storie indimenticabili ed ha dialogato con l’espressività di una voce in un percorso di crescita inarrestabile.Un risultato senza precedenti e senza eredi. Solo qualche copista sciatto. Non bastano un po’ di Zucchero, ex Jovanotti con difetti di pronuncia e fette di Mango con amari Ramazzotti…
di Carmine Pescatore